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Giovani artisti genovesi: la fotografa Silvia Mazzella

“Una cosa che amo di Genova è che mi dà l'opportunità di camminare. Camminando riesci a vedere tutte le cose che di solito non guardi, Genova è una città che ti dà il tempo, a differenza di altri posti come Milano”

Apriamo una speciale rubrica con una serie di interviste dedicate a giovani artisti emergenti genovesi. Nelle prossime settimane parleremo con fotografi, illustratori, cantanti, musicisti, per scoprire che cosa significhi di questi tempi, a Genova, fare quello che fanno loro ogni giorno, provando ad avvicinarci alla loro arte e al loro personale rapporto con la città. Oggi conosciamo Silvia Mazzella, nata a Genova nel 1993 e laureata in Fotografia e arti visuali, curatrice e cofondatrice del collettivo curatoriale indipendente Mixta. 

Come ti chiami e che cosa fai nella vita? 

Mi chiamo Silvia Mazzella, sono nata a Genova, ho da poco 29 anni e mi sono formata qui al liceo artistico. Poi mi sono spostata, ho studiato fuori perché qua a Genova non c'erano ancora corsi di fotografia professionalizzanti; mi sono laureata in fotografia di moda allo IED di Milano, poi mi hanno preso a un master sull'immagine contemporanea e lì ho avuto una formazione incentrata proprio sull'approccio al fotografico, all'immagine in sé, dissociandomi dalla mia formazione strettamente legata al commerciale. Il mio obiettivo era tornare a Genova e così ho fatto, mi sono iscritta all’Accademia Ligustica di Belle Arti dove nel 2019 hanno aperto il biennio specialistico in fotografia, sono stata una delle prime a frequentarlo. Oggi sono una fotografa freelance e nel 2019 ho fondato un collettivo culturale che si occupa di pratiche curatoriali nel territorio di Genova.

Insieme alla mia socia, Arianna Maestrale, portiamo avanti progetti di arte urbana, mostre all'interno di istituzioni e di privati. Ci piace molto interagire su tutto quello che è il territorio genovese, organizziamo un Festival biennale in via del Campo, Divago, dove invitiamo degli artisti fuori e degli artisti locali, in maniera da creare un dialogo proprio sul territorio specifico di via del Campo. Il prossimo sarà nel 2024.

Qual è in generale il tuo rapporto con la città?

È molto complesso lavorare sul territorio genovese però, anche se limitante, è allo stesso tempo molto stimolante, è un fattore di responsabilità. Io mi sento di voler spendere le mie energie nella mia città e nel mio territorio, perché è un territorio con cui mi sento in empatia, in sinergia. A Genova ci sono poche occasioni per formarsi in ambito artistico o comunque nell’ambito strettamente legato all'arte e alla fotografia contemporanea, e le poche presenti sono nascoste, devi andarle a cercare. Vedo però che molte persone competenti che si sono formate fuori hanno spesso la speranza di investire le loro energie qui, è il punto di partenza per far crescere il settore culturale indipendente.

Che influenza pensi che abbia Genova sulla tua espressione artistica? 

Mi influenza tantissimo. Genova è praticamente il mio punto focale, è un po’ il bastone e la carota, è la matrice che mi fa andare avanti e allo stesso tempo è anche il genitore che mi punisce e che mi sprona a continuare. È molto presente in tutti i miei discorsi e nelle mie ricerche. Il Festival Divago è incentrato sull'attività in via del Campo e su tutto quello che concerne tutto quell'ambiente, pur essendo un lavoro prettamente artistico sfocia nell’etnografico e nel sociale e quindi è molto legato al territorio genovese. Per quanto riguarda la mia ricerca artistica, l'ultimo mio progetto è legato all’ambiente domestico e alle dinamiche familiari e quindi ovviamente a quello che io ho vissuto a Genova.

Una cosa che ami e una cosa che odi di Genova?

Una cosa che amo di Genova è che mi dà l'opportunità di camminare. Camminando riesci a vedere tutte le cose che di solito non guardi, Genova è una città che ti dà il tempo, a differenza di altri posti come Milano. Un approccio che mi piace molto approfondire nella curatela e anche poi nel Festival è quello del flaneur, del personaggio che va alla deriva e si stupisce delle cose, ha uno sguardo attivo. Genova mi ha sempre dato l’occasione di attivare il mio sguardo e meravigliarmi.

La cosa che mi piace di più di Genova non è tutto concentrato lì, per carità, ti potrei dire anche il mare o l'odore di Genova, l'odore di Genova è una cosa che mi porto addosso. La cosa che non mi piace è che questa sua lentezza non la sfrutta, ne è vittima, non riesce a valorizzare quello che ha.

Come e dove ti vedi tra qualche anno? Preferiresti concentrare la tua attività in ambito genovese/ligure o ti vedi in un altro ambiente?

Nelle mie aspirazioni future l'intento è quello di non limitarmi alle poche occasioni che ti dà la città per formarti e quindi riuscire a prendere tutto quello che posso prendere da fuori, per poi portarlo dentro. Quello che adesso sto provando a fare è riuscire a formarmi su tutto quello che riguarda i visual studies e la cultura visuale, per poi riuscire ad insegnare immagine contemporanea, creare un polo, un aggancio, per tutti i ragazzi che escono dal liceo o dall'accademia e non sanno dove andare. 

Andare fuori è sempre una delle opzioni, che sia a Genova, a New York o a Milano, in ogni caso uscire dalla propria comfort zone a mio parere serve. Poi non bisogna rinunciare totalmente a una città, non darle una possibilità. Genova è una città enigmatica, che deve essere scoperta piano piano, però se ti impegni qualcosa viene fuori. Noto che anche tra i miei amici che sono andati a studiare fuori, con Genova c'è proprio un attaccamento da cui bisogna uscire, per renderlo qualcosa di formativo.

Quali sono i tuoi legami con gli altri giovani artisti della città/regione?

Lavoro a stretto contatto con la mia socia Arianna, che ha fondato un magazine che si chiama Wall out, in cui racchiude come in un contenitore tutte le varie realtà che agiscono sulla città. Insieme collaboriamo molto con artisti, associazioni e realtà indipendenti, per attivare la città in maniera sana e genuina. Ho conosciuto tante persone e sono molto aperta al dialogo. Il mondo della fotografia è un mondo tendenzialmente autoriale, autoreferenziale, individuale. Il fotografo a Genova soffre molto la competizione, quindi è spesso meno propenso al dialogo.

Un consiglio che daresti ai giovani che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso 

Essere molto curiosi, non avere assolutamente paura di andare a bussare alle porte e di intraprendere progetti che si pensano irraggiungibili. Poi l'idea è sempre quella, se c'è l'occasione, di prendere e andare, che poi l'autoreferenzialità a un certo punto stanca e diventi proprio vittima di te stesso e non impari niente. Il desiderio mio e della mia socia, con Mixta, è quello di riuscire a dare la volontà e la forza anche ad altri ragazzi per creare punti di riferimento in ambito giovanile. In un futuro mi immagino un possibile Divago, realizzato in altri termini da altre persone che decidono veramente di collaborare insieme e di attivarsi. A Milano, a un'ora e mezza da qua, ci sono un centinaio di realtà, perché qua ci siamo soltanto noi? Non è giusto, avere l'ambizione per fare le cose è importantissimo.

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