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Sclerosi multipla aggressiva, lo studio del San Martino: il trapianto autologo di staminali aiuta a fermarla

Firmato da Gianluigi Mancardi e Giacomo Boffa, dell'Università di Genova e del Policlinico, ha dimostrato per la prima volta l’efficacia a lungo termine del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche

Arriva dal San Martino uno studio che dimostra come il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche sia cruciale nel trattamento della sclerosi multipla aggressiva.

I test condotti dal professor Gianluigi Mancardi e dal dottor Giacomo Boffa hanno dimostrato come i pazienti sottoposti a questo tipo di trapianto abbiano una remissione di malattia duratura nel tempo. I risultati dello studio retrospettivo, che ha coinvolto 20 centri italiani, hanno una grande rilevanza nell’ambito della ricerca sulla sclerosi multipla, perché nonostante esistano terapie in grado di rallentare la progressione della malattia, non è ancora possibile bloccarla del tutto.

La sclerosi multipla colpisce circa 3.400 persone ogni anno in Italia, con un’età di esordio generalmente tra i 20 e i 40 anni. La maggior parte delle persone affette presenta una forma di malattia in cui il danno a livello neurologico si accumula molto lentamente, e su questa forma si sono sviluppate tutte le terapie approvate oggi. Esiste invece una piccola parte di pazienti, quasi il 10% dei casi, che presenta forme di sclerosi multipla particolarmente aggressive e che risponde poco alle terapie. In questi pazienti è necessario agire velocemente, in quanto la malattia può causare danni irreparabili in poche settimane o pochi mesi.

Trapianto autologo di staminali ematopoietiche, cos’è

Lo studio retrospettivo, in parte finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) e pubblicato su Neurology, ha analizzato l’efficacia nel tempo del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, che prevede il prelievo di cellule staminali dal paziente a cui vengono re-infuse dopo un trattamento chemioterapico. 

Il lavoro prevedeva un’intensa immunosoppressione iniziale, per eliminare l’infiammazione del sistema nervoso che caratterizza la sclerosi multipla, seguita da una re-infusione delle cellule staminali ematopoietiche precedentemente raccolte dal paziente stesso, per la formazione di un nuovo sistema immunitario, più tollerante e meno aggressivo. Sono stati studiati tutti i pazienti con sclerosi multipla aggressiva che hanno subito un trapianto in Italia dal 1998 al 2019 e sono stati seguiti per un follow up medio di circa 6 anni.

I dati dimostrano che oltre il 60% dei pazienti non ha un aggravamento della disabilità dopo 10 anni dal trapianto, e in molti casi si osserva anche un miglioramento del quadro neurologico duraturo nel tempo.

«I risultati ottenuti sono di fondamentale importanza nel contesto attuale della malattia perché i pazienti presi in esame hanno una forma di sclerosi multipla particolarmente aggressiva e che, per questo, spesso vengono esclusi dalle sperimentazioni cliniche. Tutto ciò spiega le poche terapie disponibili per loro - ha detto il dottor Giacomo Boffa, -  inoltre a oggi il nostro è lo studio con il più lungo follow up dopo trapianto, molti pazienti sono stati seguiti per oltre dieci anni: aspetto fondamentale per la sclerosi multipla, che è una malattia molto lenta e cronica. Infatti, sono necessari lunghi periodi di osservazione prima di riuscire a comprendere se un trattamento ha avuto effetto, perché molti pazienti possono andare incontro ad una progressione “silente” di malattia, che spesso non è evidente nei primi anni di terapia«.

Soddisfatto anche il professor Gianluigi Mancardi, uno dei pionieri del trapianto autologo di cellule staminali in persone affette da sclerosi multipla, che negli anni ha assistitito al cambio di procedura: «All’inizio ci si rivolgeva a soggetti con una malattia in fase avanzata che si rispecchiava in una grave disabilità. Ora invece il target è composto da pazienti aggressivi, quelli che non rispondono alle terapie, anticipando il trapianto autologo nel tempo: nel momento in cui ci si accorge che la persona non risponde alle terapie tradizionali, il trapianto autologo è una delle opzioni più importanti. Ciò permette anche di intervenire quando il paziente ha ancora delle possibilità di recupero. Il problema principale della terapia rimane il rischio di mortalità, che però sta progressivamente diminuendo nel tempo e ora è intorno allo 0,3%».

«I risultati raggiunti dimostrano come il trapianto di staminali ematopoietiche sia una procedura in grado di cambiare la storia della malattia di questi pazienti, poco rappresentati negli studi clinici - ha concluso Matilde Inglese, responsabile del Centro Sclerosi Multipla del San Martino e dell’Università di Genova - con effetti positivi che si protraggono per anni dopo il trattamento».

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