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Cronaca

Fincantieri condannata a risarcire il figlio di un operaio morto per l'amianto

Nessun dispositivo di protezione, come tute monouso e mascherine, scarsa areazione dei locali e nessuna informazione al personale. Fincantieri è stata condannata dal Tribunale di Genova a risarcire il figlio di un operaio genovese, deceduto nel 2018 a causa dell'esposizione all'amianto

Il Tribunale di Genova ha condannato Fincantieri a risarcire con la somma di 695mila euro la vedova e il figlio di un operaio di Genova deceduto il 7 luglio 2018 a causa di un mesotelioma peritoneale conseguente all'esposizione ad amianto nei cantieri navali di Riva Trigoso.

L'operario genovese aveva trascorso tutta la sua vita lavorativa negli stabilimenti Fincantieri di Riva Trigoso, prima come tubista e poi come addetto alla movimentazione. L'uomo, negli anni di attività, si era occupato di smerigliatura, taglio e smusso dei tubi coibentati con materiali in amianto o contenenti la pericolosa fibra metallica.

Secondo quanto ricostruto nel corso del procedimento giudiziario, l'uomo ha svolto queste mansioni senza essere dotato dall'azienda di tute di protezione monouso o mascherine con il grado di protezione P3, necessarie per garantire la sicurezza ed incolumità dei lavoratori.

Inoltre l'operaio non era stato informato della pericolosità del materiale che utilizzava quotidianamente negli stabilimenti navali Fincantieri. L'attività lavorativa, inoltre, si svolgeva in ambienti ristretti e privi di aspirazione localizzata e di ricambio d’aria.

Nel gennaio 2018 l'operaio genovese si sottoponeva ad indagini mediche ed esami clinici presso l’ospedale di Sestri Levante, che hanno riscontrato la presenza del mesotelioma. L'uomo è morto dopo soli sei mesi dalla comunicazione della diagnosi, per il decorso della malattia.

L'Inail ha riconosciuto la natura professionale della patologia e la rendita diretta già prima che il 71enne venisse a mancare, secondo l’ente la società Fincantieri avrebbe “violato gli obblighi di tutela della salute perché ha disatteso gli obblighi cautelari”.

L’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro ha constatato che in tutti i cantieri navali, per lo meno fino alla metà degli anni ’90, c'è stata una generalizzata condizione di rischio amianto, per esposizioni elevate, dirette, indirette e per contaminazione dell’ambiente lavorativo.

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che da anni è impegnato in procedimenti giudiziari per le vittime dell'amianto, ha commentato così la sentenza:

"La Fincantieri S.p.A. e prima la Cantieri Navali del Tirreno e Riuniti informati dal loro corpo medico della lesività dell’amianto, ne hanno continuato l’uso fino all’entrata in vigore dell'art. 1, comma 1, della Legge 257 del 1992. Le esposizioni nel cantiere di Riva Trigoso sono proseguite anche nei periodi successivi”.

Il legale che ha assistito la famiglia in questo procedimento ha poi aggiunto:

“Se il datore di lavoro avesse rimosso l’amianto per tutto il periodo lavorativo e dotato la vittima di maschere protettive e rispettato le altre regole cautelari, evidentemente la patologia non sarebbe insorta o lo sarebbe stata in epoca successiva, con aumento dei periodi di sopravvivenza della vittima”.

In coclusione, l'avvocato Bonanni ha affermato:

Non solo. L’amianto utilizzato nel cantiere navale, ha messo a rischio anche i familiari dell’operaio perché le tute erano lavate in casa è l’uomo rientrava con ancora indosso gli abiti da lavoro ricoperti di polveri di amianto. Gli stessi capelli del lavoratore erano intrisi di polveri di colore azzurro, violaceo e verde, quello dei materiali di amianti anfiborico (amosite e crocidolite).

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