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Commesse, baristi e camerieri under 35: i nuovi poveri in Liguria 

L'identikit: nel terziario la maggioranza vive con 728 euro al mese, nel migliore dei casi 1000. Più di un terzo in Liguria è part time, spesso sono precari.Ecco cosa emerge nel Report sul settore di Uiltucs e InNova Studi e Ricerche

Su 96 mila lavoratrici e lavoratori impiegati negli alberghi, nei ristoranti e nel commercio in Liguria, più della metà sono donne, ben 53 mila, e si concentrano prevalentemente a Genova; moltissime addette sono precarie e part time. Basta vedere i numeri per capire la portata del fenomeno: 141mila lavoratori del commercio, turismo e servizi sono full time contro ben 74mila part-time. Si tratta soprattutto di giovani lavoratrici e lavoratori del terziario, commesse, bariste, cameriere under 35 che non arrivano a mille euro al mese, spesso nemmeno a 800.
 
È questo lo spaccato ligure che contribuisce a disegnare l’identikit dei nuovi poveri italiani. La fotografia dello stato di salute dell'Italia del terziario è stata scattata dalla Uiltucs, unione italiana lavoratori del turismo, del commercio e dei servizi, in collaborazione con InNova Studi e Ricerche e Agsg, agenzia generale studi e gestioni, in un Report che contiene approfondimenti sui temi economici, socio-demografici e del mercato del lavoro.

Il report rivela che i giovani lavoratori arrivano a fatica a fine mese: uno su tre guadagna meno di 1000 euro al mese, e il 23% anche meno di 780 euro. ll 28% dei lavoratori dipendenti dei settori del turismo, del commercio e dei servizi guadagna meno di 9 euro l’ora (per i giovani, la percentuale sale anche al 38%). Nel comparto, poi, la retribuzione delle donne è inferiore del 25% rispetto a quella degli uomini.

Ma cosa emerge dai dati? Il nostro Paese ha visto sfumare il 9% del Pil e i lavoratori sono stati colpiti duramente, in particolare i più vulnerabili. La diminuzione del valore aggiunto è stata abbastanza uniforme in tutto il Paese, ma è stata più pesante nei servizi (-8,5%). Il valore aggiunto del turismo ha perso il 40,6% del suo valore, passando da 61 a 36 milioni. Nell’ultimo periodo invece il commercio, diminuito dell’8%, è tornato quasi ai livelli pre-Covid in un solo anno.

In questo scenario, gli analisti internazionali continuano a tagliare le stime di crescita: le previsioni più recenti ipotizzano un aumento del Pil italiano del 3% circa quest’anno e solo dello 0,7-0,9% per il 2023. Le ripercussioni più forti le stanno subendo gli occupati con basso titolo di studio e bassa qualifica e quelli impiegati in determinati settori caratterizzati da forte uso del part-time e di contratti stagionali, come turismo, alberghi e ristoranti. Incide molto quindi la discontinuità occupazionale.

A questo si sommano previsioni per il futuro, anche sotto l’aspetto demografico, per niente rosee: l’Italia fra pochi anni perderà una quota importante della sua popolazione, soprattutto quella in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni. Fra 20 anni potrebbero esserci circa 6 milioni di lavoratori in meno rispetto a oggi, pari al totale della popolazione che oggi vive in Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

“Il tema dei salari è oggi al centro del dibattito, soprattutto con riferimento al salario minimo - spiega Paolo Andreani, neoeletto segretario generale Uiltucs - Ma la ricerca ci mostra come il vero tema da affrontare è il fatto che i salari in Italia sono praticamente fermi da 30 anni, se non in discesa. Il salario minimo per noi deve coincidere con i minimi contrattuali. E spetta a noi nel rapporto con l’impresa agire per affrontare questo problema e migliorare le condizioni dei nostri lavoratori, attraverso la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e territoriale. La politica deve aiutare i rinnovi contrattuali con la detassazione degli aumenti salariali”.

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