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Lavoro, la sociologa Francesca Coin a Genova: le 'grandi dimissioni' ci dicono che la nuova pandemia è il burnout

L'incontro con l'autrice del saggio "Le grandi dimissioni" (Einaudi): "Spesso i lavoratori compiono sacrifici che non hanno più una contropartita sufficiente. E allora ci si chiede se ne vale la pena, non ci si può più permettere di lavorare in certe condizioni"

C'è una dinamica che, da qualche anno a questa parte, specie dopo la pandemia di covid, ha portato le persone a interrogarsi sempre più sulla qualità e sulla soddisfazione del loro lavoro. E se il pensiero dominante è che il lavoro lo lascia solo chi se lo può permettere, inizia anche a farsi strada la filosofia che, in ogni caso, "non ci si può più permettere di lavorare in certe condizioni". 

È la tesi di Francesca Coin, sociologa e autrice del saggio "Le grandi dimissioni" (Einaudi, 2023) che sabato 24 febbraio alla biblioteca Berio ha parlato del suo libro nell'ambito di "Non c'è più voglia di lavorare", evento organizzato Generazione P e Comunità di San Benedetto al Porto. Insieme a lei Ornela Casassa, attivista di Gen P e protagonista di uno sfogo sul mondo del lavoro con un video diventato virale un anno fa, Biancamaria Furci, attivista, Maria Pia Scandolo, segretaria politiche di genere Cgil Liguria e Luisa Stagi, professoressa di sociologia dell'Università di Genova.

Impossibile non partire dalla tragedia del cantiere di Firenze con la lettura dei nomi delle vittime: dopo l'incidente mortale diversi presidi di protesta si sono tenuti in tutta Italia e anche a Genova, "maglia nera" in Liguria per gli incidenti sul lavoro. Lunedì 26 febbraio quello della Cisl.  

Francesca Coin e "Le grandi dimissioni" a Genova

Ma "Le grandi dimissioni" affronta un tema forse evidente ma più diffuso, ovvero il malessere psicofisico sui luoghi di lavoro che sta portando sempre più persone verso le dimissioni volontarie, specialmente nei settori della sanità, della ristorazione, della grande distribuzione e della cultura: "I lavoratori - ha spiegato Coin - spesso fanno sacrifici che non hanno più una contropartita sufficiente e allora si chiedono se ne vale la pena. In Italia poi la narrazione dominante che viene proposta dai datori è 'ringrazia che hai un lavoro': è un privilegio e come tale va onorato". A tutti i costi, anche quando le condizioni diventano insostenibili.

Anche in Liguria migliaia di dimissioni: "Stipendi bassi e poche prospettive"

Ma mentre in altri Paesi c'è più ricambio, in Italia chi lascia il lavoro non sempre ha la possibilità di trovarne subito un altro. Come mai allora si parla di circa 2 milioni di dimissioni nel nostro Paese sia nel 2021 sia nel 2022? Anche i dati della Liguria non sono incoraggianti: l'anno scorso - quando usciva il saggio della sociologa - si contavano più di 11mila dimissioni nei primi tre mesi, causate spesso, secondo l'analisi dei sindacati su dati Inps, da stipendi bassi, qualità scarsa e poche prospettive. A lasciare anche assunti a tempo indeterminati, giovani e donne costrette a scegliere troppe volte tra i tempi del lavoro e quelli della famiglia. 

"In diversi luoghi di lavoro molti processi hanno disincentivato i lavoratori - ha detto Coin -. L'abbattimento dei costi ha richiesto tagli di organico e chi è rimasto lavora di più in tutti i settori, con un orario lavorativo spesso allungato e la minaccia del burnout, ovvero non avere più il controllo sul proprio tempo e salute, con ritmi di produzione scanditi da metriche di efficienza spesso insostenibili, scadenze inarrivabili, il senso permanente di non fare abbastanza e di non essere all'altezza. Secondo la società di analisi Gallup il tasso di soddisfazione dei lavoratori in Italia è appena del 5%, tra i più bassi al mondo". E a pagare il prezzo più alto, come hanno sostenuto anche le altre intervenute, spesso sono coloro che appartengono a categorie definite più svantaggiate e soggette a discriminazioni di genere e di provenienza. 

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"Un immaginario del lavoro fermo al '900 con condizioni di sfruttamento dell'800"

Negli ultimi anni, specie dopo il covid, è aumentato il livello di disaffezione delle persone nei confronti del proprio lavoro. Anche perché, sempre secondo Coin, c'è stato un assalto ai diritti del lavoro, diventato strutturalmente povero e sottopagato: "Molte persone sono partite con un'affezione al lavoro tipica del '900, pensando a un impiego che potevano e volevano tenere per tutta la vita, per poi scoprire che questo concetto non c'è più. Nel corso del '900 il lavoro è stato ciò che definiva la vita delle persone, consentiva di venire incontro ai bisogni della vita con un salario, tutele, una progressione di carriere e delle pensioni".

E adesso? "Abbiamo un immaginario di lavoro fermo al '900 con condizioni che ci hanno fatto tornare all'800. La pandemia oggi è il malessere psicofisico sui luoghi di lavoro, un malessere molto diffuso rispetto al quale la fuoriuscita è una risposta a cui arrivano molte persone. Non rivendico le dimissioni come una soluzione, ma è una fotografia di quel che sta accadendo". 

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