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Costume e società

Giovani artisti genovesi: l’illustratore fumettista Ste Tirasso

"Passo sempre davanti a queste vetrine dove c’è la focaccia con le olivea teglie con dolci arabi o marocchini. Questo contrasto mi è sempre piaciuto moltissimo e mi sono immaginato che, oltre a contaminarle dal punto di vista culinario, avessimo 'contaminato' le persone originarie di altri paesi anche a livello di ospitalità ligure"

Dopo la nostra prima intervista ai giovani artisti di Genova, con la fotografa Silvia Mazzella, proseguiamo questa speciale rubrica con un disegnatore a 360 gradi. L’illustratore e fumettista Stefano Tirasso, il cui nome è da poco ricomparso in libreria sulla copertina della graphic novel Tempo da lupi sceneggiata da Andrea Fontana, racconta il suo lavoro e il suo rapporto con la città di Genova.

Come ti chiami e cosa fai nella vita?

Mi chiamo Stefano Tirasso, in arte SteTirasso, e sono un illustratore fumettista. Nella vita fondamentalmente disegno. Disegno per diversi scopi, per libri illustrati, libri di narrativa o anche di scolastica, nella pubblicità e nella comunicazione. E poi insegno alla Scuola Internazionale di Comics, che ho frequentato da studente pendolare a Torino, prima che aprisse la sua sede qui. Ho pubblicato due graphic novel, di cui una come autore unico che si chiama Ricomincia da qui, ambientato in parte a Genova, e un’altra che si chiama invece Tempo da lupi, appena uscita, un fumetto che io ho disegnato e colorato ma che è stato sceneggiato da Andrea Fontana, tratto dal romanzo Tempo da Lupi di Francesco D’Adamo. Ho illustrato quattro libri per De Agostini, tre per Mondadori e altri per altre case editrici, quindi come illustratore con vari editori ho lavorato complessivamente a circa 20 libri. 

Che influenza pensi che abbia Genova sulla tua espressione artistica?

Ne ha parecchio. Ho iniziato disegnando tantissimo le zone portuali e il mare. Mi piace andare in giro e fare sketch per strada e le parti di Genova che si affacciano al mare mi hanno sempre affascinato molto. Qui a Genova ho avuto poi la fortuna di conoscere un sacco di professionisti e colleghi che mi hanno dato una mano, sia disegnatori nel periodo della mia formazione sia poi miei coetanei con i quali ho fondato lo Studio Rebigo, dove oggi lavoro. 

Qual è in generale il tuo rapporto con la città?

Il mio rapporto con la città è abbastanza ambivalente. Perché da una parte a me Genova come città piace proprio tanto, per quanto riguarda l'estetica, la posizione molto particolare. Il fatto che quando sei nei vicoli sai che ogni volta che scendi troverai di sicuro in fondo il mare. A me questi aspetti più romantici di Genova piacciono ancora molto e, pur vivendo a Genova da quando sono nato, non mi sono ancora stufato di queste magie. Volendo essere meno romantici c'è poi la questione di vivere a Genova e soprattutto di fare un lavoro come il mio.

Quali sono secondo te gli aspetti che si potrebbero migliorare qui?

Io lavoro relativamente poco con clienti genovesi, ho a che fare per lo più con l'editoria e nell'editoria ho sempre lavorato per case editrici fuori Genova. In generale, mi sembra che ci sia ancora qualche limite nel vedere il nostro lavoro come una forma di artigianato. Una cosa che mi ha sempre lasciato molto amaro in bocca è stata la chiusura del Museo Luzzati di Porta Siberia al Porto Antico, che era la casa dell’illustrazione a Genova, con mostre bellissime di nomi importanti a livello mondiale. Il fatto che abbia chiuso forse significa che la nostra città non ha un interesse tale da concepire che una mostra di Andrea Pazienza o di Quentin Blake abbiano lo stesso valore di una mostra di pittura o di fotografia a Palazzo Ducale.

Sarebbe bello che un Palazzo Ducale o un altro ente molto riconosciuto a livello regionale potesse contattare dei professionisti della città come noi non tanto per esporre i lavori, ma magari per una consulenza nel fare una mostra con autori anche molto più importanti. Dal mio punto di vista ci vorrebbe appunto più consapevolezza.

Come illustratori abbiamo organizzato molte mostre di artisti anche non genovesi, dei laboratori e dei workshop. Abbiamo collaborato con il Festival BIG Brief in Genova per alcuni talk nel corso delle edizioni che ci sono tenute sul linguaggio e sul ruolo dell'immagine nella comunicazione.

Una cosa che ami e una che odi di Genova?

Una cosa che amo sicuramente sono gli involtini di lattuga della Trattoria delle Grazie. Quando torno dalle vacanze è sempre uno dei primi posti dove vado a mangiare fuori. 

La prima cosa che odio è l'umidità. Ci ha portato a cambiare studio, lavoriamo sempre con pile di carta a fianco e ci siamo resi conto che nello studio dove eravamo prima, in un piano strada al Carmine, i fogli si imbarcavano tutti, si piegavano per l'umidità. Anche il fatto che i vicoli, bellissimi, non ti lascino mai vedere la luce del sole è un’altra cosa che non mi piace.

Come e dove ti vedi tra qualche anno? Preferiresti concentrare la tua attività in ambito genovese/ligure o ti vedi in un altro ambiente?

Come dicevo prima, lavoro qui a Genova ma ho spesso a che fare con clienti di altre città. Tanti lavori che ho portato avanti per Genova sono arrivati tramite Rebigo, come ad esempio il Genova Beer Festival di cui abbiamo curato l’immagine grafica – mi sembra di averne disegnato la locandina nel 2019. Per il Natale 2020, Liguria digitale ci ha chiesto se qualcuno di noi si sarebbe potuto occupare del progetto di comunicazione per fare gli auguri per le feste e, tra le varie decisioni, è stato deciso che questo progetto venisse affidato a me, affiancato da un animatore che è Filippo Odone.

Un altro progetto che mi ha legato alla città è stato quello della rivista immaginaria The Genoeser. Avendo vissuto a Genova per più di trent'anni ho visto qualcosa di più rispetto alla Lanterna o a Porta Soprana. Nella mia copertina ho quindi voluto rappresentare una delle cose che mi affascinano di più, ovvero le panetterie etniche, quelle che incontri soprattutto nella zona di via Prè e via Gramsci. 

Quando cammino a piedi da casa mia che è sopra Principe fino allo studio che invece è in vico della Casana, passo sempre a fianco a queste vetrine dove c’è la focaccia con le olive - che è una cosa che mi rimanda a quando ero bambino dato che era una cosa che mangiavo in continuazione, è come se fosse una piccola Madeleine alla Proust - affiancata nella mia immagine come nella realtà a teglie con dolci arabi o marocchini o comunque africani. Questo contrasto mi è sempre piaciuto moltissimo e quindi ovviamente mi sono immaginato che, oltre a contaminarle dal punto di vista culinario, avessimo “contaminato” le persone originarie di altri paesi che vengono a vivere qui anche a livello di ospitalità ligure.

Quali sono i tuoi legami con gli altri giovani artisti di questa città/regione?

Lavoro tutti i giorni a stretto contatto con i miei colleghi di studio Rebigo: Luca Tagliafico, Arianna Zuppello, Matteo Baldrighi, Matteo Anselmo, Alessandro Parodi. Siamo partiti in nove e ora siamo sei. L'idea di Studio Rebigo è nata dopo un paio d'anni in cui, insieme ad alcuni illustratori del territorio, ci occupavamo di organizzare e allestire delle mostre per il Festival Andersen di Sestri Levante.

In quegli anni, in tanti stavamo venendo a vivere qui dopo gli studi e abbiamo sentito la volontà di trovarci uno spazio dove lavorare insieme. Non volevamo creare un semplice coworking, il nostro obiettivo fin da subito era fare progetti collettivi. Volevamo che i clienti potessero essere attirati da un collettivo di persone, anche per i diversi stili che potevamo offrire.

Capita anche di avere visioni e idee diverse e di scontrarci un po’, però è tutto comunque relativo all'ambito professionale e non a quello umano. Ci siamo contaminati l’un l’altro, ampliando i nostri orizzonti e uscendo dalla nostra comfort zone. Ci piace pubblicare libri autoprodotti, per trovare una valvola espressiva che non sia delimitata da dei paletti editoriali o legata a un prospetto di vendibilità o comunque di ricezione del pubblico con i numeri che fa un editore. Cerchiamo di raccontare qualcosa a modo nostro, tenendo comunque una qualità che possa avvicinare il gusto del pubblico. 

Un consiglio che daresti ai giovani che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso?

Il mio consiglio è quello di interessarsi a tutto quello che ha a che fare con l'immagine. Disegnare tantissimo, leggere, fruire di mostre, film, film animati, videogiochi. Educare l'occhio e conoscere nuovi autori e artisti. Al di là del disegno che ovviamente necessita di essere coltivato a livello pratico, il mio consiglio è sempre quello di partecipare a più eventi possibili, in modo da avere continui riferimenti visivi, per costruire il proprio gusto, a seconda delle varie influenze che si hanno.

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