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Ponte Morandi, un mese dopo: le testimonianze degli sfollati. Video

Tante persone ancora non sanno cosa ne sarà delle loro case

Venerdì mattina, in occasione del minuto di silenzio a Certosa per commemorare le vittime a un mese dal crollo del ponte Morandi, anche tanti sfollati sono scesi in piazza per partecipare e anche per chiedere cosa ne sarà delle loro case ai rappresentanti delle istituzioni presenti.

«I nostri obiettivi sono due - spiega Franco Ravera, presidente del Comitato di via Porro - rientrare nelle nostre case per riprendere quanto di più caro abbiamo, e capire che fine faranno i nostri palazzi. Vista la situazione, molte persone adesso hanno grosse perplessità a convivere con un altro ponte, in futuro. Vorremmo avere la possibilità, un domani, di scegliere se rimanere o non rimanere».

«Devo confrontarmi con queste povere persone che purtroppo da un mese non riescono più a entrare nelle loro case - spiega l'amministratore condominiale Maurizio Carrea -. Mi chiedono sempre di sapere quando potranno rientrare in modo da poter recuperare tutto quello che hanno dentro. C'erano persone che, al momento del crollo, erano in vacanza, e dunque non sono riuscite a portare via proprio nulla».

Giovanni Genco, uno degli sfollati, ricorda i terribili momenti di un mese fa. Tutti i giorni, da quando il ponte è crollato, dopo il lavoro torna in Valpolcevera per aspettare informazioni «Ero a casa insieme a mia figlia poi ho sentito un boato, sembrava una scossa di terremoto. Ho sentito urlare, mi sono affacciato dal poggiolo e ho visto l'inferno. Ho detto a mia figlia che dovevamo uscire immediatamente di casa, ci siamo vestiti velocemente, e siamo andati via. Vivo qui da 30 anni, ormai c'è la mia vita in questo quartiere».

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