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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Genova in poesia, Antonio Tabucchi insegnò qui per 12 anni e vi scrisse “Il filo dell’orizzonte”

L'autore scriveva: “Accanto ai vetri della cabina [...] sfilano i muri maestri delle case, piccoli slarghi scuri abitati dai gatti, cancelli di cortili nei quali si vede una bacinella, una bicicletta rugginosa, gerani e basilico piantati in scatole di tonno”

Antonio Tabucchi nasce a Pisa nel 1943 e ama i libri fin da giovanissimo, grazie anche alla ricca biblioteca posseduta dallo zio materno. Durante gli anni dell’università compie diversi viaggi ed è proprio in una visita a Parigi che incontra per la prima volta, in vendita su una bancarella, un libro dell’autore che gli cambierà la vita, Fernando Pessoa, di cui Tabucchi è stato il maggior esperto. Nel 1973 comincia a insegnare proprio lingua e letteratura portoghese a Bologna e a scrivere prima saggi e poi romanzi (il primo di grande successo è Notturno indiano nel 1984). Nel corso della sua vita Tabucchi ha rivestito diversi ruoli, quello dello scrittore, ma anche quello del critico letterario, del traduttore e del lusista italiano. È mancato a Lisbona nel 2012, dopo una lunga malattia.

Il suo romanzo più famoso è Sostiene Pereira, che gli hanno valso i premi Campiello e Viareggio, ma esiste un altro romanzo che, anche se meno noto, vale la pena mettere in luce, il cui titolo è Il filo dell’orizzonte. Ambientato a Genova, è stato scritto dall’autore durante i suoi 12 anni in questa città, in cui si è fermato ad insegnare letteratura portoghese. Genova ha influenzato non poco questo suo lavoro letterario, è infatti lo stesso Tabucchi a scrivere: “Questo libro è debitore di una città, di un inverno particolarmente freddo e di una finestra”.

Si tratta di un libro dalle tinte noir, in cui il protagonista Spino, intento nel dare un nome al cadavere di uno sconosciuto, è in realtà il tipico personaggio sulle tracce di se stesso. Ecco la trama. “Una città di mare che somiglia a Genova, un oscuro fatto di sangue, un cadavere anonimo, un uomo che istruisce una sua privata inchiesta per svelarne l'identità. Ma il procedimento di Spino, il detective della vicenda, non segue una logica di causa/effetto. Invece delle apparenze visibili egli cerca i significati che queste apparenze contengono e la sua ricerca corre sul filo ambiguo che separa lo spettacolo dallo spettatore. Così la sua inchiesta ‘impazzisce’ e da indagine su una morte slitta sul piano delle segrete ragioni che guidano un'esistenza, trasformandosi in una sorta di caduta libera, vertiginosa e obbligata al tempo stesso: una ricerca senza respiro tesa verso un obiettivo che, come l'orizzonte, sembra spostarsi con chi lo segue”.

Ed ecco uno dei passi che descrivono in maniera affascinante un’immaginaria corsa su un ascensore, o forse più probabilmente una funicolare.

[…] È andato agli ascensori che salgono fino alle colline, oltre la cornice dei palazzi che danno da bastione alla città. A quell’ora sugli ascensori non c’è nessuno, si riempiono nel tardo pomeriggio, quando la gente rientra a casa dal lavoro. Il manovratore è un vecchietto con una divisa nerofumo e una mano di legno […]. Accanto ai vetri della cabina, nel primo tratto del percorso corre su rotaie come una funicolare, sfilano i muri maestri delle case, piccoli slarghi scuri abitati dai gatti, cancelli di cortili nei quali si vede una bacinella, una bicicletta rugginosa, gerani e basilico piantati in scatole di tonno. Poi all’improvviso i muri si aprono: è come se l’ascensore avesse sfondato i tetti e puntasse direttamente verso il cielo, per un attimo ci si sente sospesi nel vuoto, i cavi della trazione scivolano silenziosamente, il porto e gli edifici fuggono in basso, si ha quasi l’impressione che l’ascensione non si fermerà più, la forza di gravità pare una legge assurda e la città un giocattolo dal quale è un sollievo disabituarsi”.

(Antonio Tabucchi, Il filo dell’orizzonte, 1986)

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