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Martedì, 16 Aprile 2024
Costume e società

“Pensati libera” dai vicoli di Genova a Chiara Ferragni: lo street artist spiega la sua scritta

Usato come "abito manifesto" da Chiara Ferragni e attribuito al duo artistico Claire Fontaine, l'opera presente su uno stemma nel centro storico genovese è in realtà di un artista bolognese, che in un post sui social spiega: "Mai avrei voluto divenisse uno slogan o un prodotto da commercializzare"

“Pensati libera” non è uno slogan, né un prodotto. Non è di Chiara Ferragni, non è di Claire Fontaine, non è di nessun altro, perché è di tutti. Lo stemma che presenta questa scritta, che si trova nel centro di Genova in via San Luca, è in realtà di uno street artist e tatuatore bolognese, conosciuto sui social con lo pseudonimo Cicatrici nere, che vuole che questa sua opera “sia il più possibile percepita di ‘nessuno’, proprio per consentire a ciascuno di potersi identificare e risuonare con essa”, come spiega in un post sul suo profilo Instagram.

L’artista sottolinea quanto sia fondamentale che si sappia che il pensiero che ha “sussurrato sui muri” non è un invito di libertà rivolto esclusivamente alla donna, ma un desiderio di libertà rivolto a tutti gli esseri umani “schiacciati da un’invisibile incapacità di essere chi si è profondamente, intrappolati negli stereotipi che vengono quotidianamente propinati”. 

È stato chiamato “abito manifesto” quello che Chiara Ferragni ha indossato al suo debutto al Festival di Sanremo durante l’edizione di quest’anno. È stato chiamato “slogan” il Pensati libera scritto sulla stola indossata dalla co-conduttrice, che la stessa sul suo profilo Instagram ha sintetizzato con l’immagine del graffito, attribuendone la paternità e il credito a Claire Fontaine, da più parti pubblicizzato quale autore dell’idea e dell’opera. Ma lo street artist dichiara: “Nulla di più sbagliato”. 

Spiega che si tratta in realtà di un particolare pensiero già noto nell’ambiente artistico e una firma già riconosciuta dai più, perché presente in diverse città italiane. L’artista, dopo aver chiesto a Chiara Ferragni una rettifica o una precisazione sull’errata attribuzione del pensiero e dell’opera, chiede ai lettori e alla stampa di non indagare sulla sua identità, ancora anonima, per portare avanti il suo messaggio: “L’opera è e deve rimanere solo nelle strade”. 

Il duo Claire Fontaine, a cui è stata attribuita la paternità dell’opera, è in realtà autore soltanto di uno scatto fotografico allo stemma che presenta questa scritta, trovato nel centro storico di Genova, più precisamente in via San Luca, dopo un corteo femminile. I due artisti, appartenenti alla corrente artistica del ready made, non hanno dunque creato, ma soltanto ripreso l’opera, senza però citane l’autore. Da qui dunque è nata l’esigenza da parte di Cicatrici nere di pubblicare un messaggio sul suo profilo social.

“I fiori che si amano si lasciano dove sono. È stato strappato il mio fiore più bello. Certo è stato mostrato a milioni di persone, ma in una modalità che ricorda gli animali rari rinchiusi in uno zoo: sradicato dal suo reale contesto, ora non può che appassire o venire imbalsamato.
Non si tratta di una banale e volgare rivendicazione di una mia opera, ma di una dichiarazione di indipendenza dall’industria del marketing
Il problema non si pone nell’aver usufruito di una mia creazione, ma sorge dal momento in cui è stata spogliata della sua natura per vestirne un’altra che non la riguarda. Per essere indossato come una pelliccia al fine di innalzare il già vertiginoso status di qualcuno.
Propinata in televisione e masticata a favore di qualsiasi ‘ismo’, anche il più corretto, a pensati libera vengono tagliate le corde vocali.
Pensati libera non porta con sé rivendicazioni, né vuole essere grido di speranza. Al contrario cresce su macerie di sentimenti umani, sui resti di un mondo che non vuole più essere, ma solo apparire.
Perché ho desiderato pensarmi libero? Perché non lo sono”. 

Specifica infine che con queste parole non intende accusare l'influencer o il duo artistico di aver commesso illeciti, né pubblicizzare la paternità o proprietà della sua opera, ma prendere le distanze dalla “mercificazione e snaturalizzazione di un atto di volontà e di libertà” che mai avrebbe voluto divenisse uno slogan, un manifesto o un prodotto da commercializzare.

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