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Genova in poesia, dove Giovanni Arpino scrisse e ambientò il suo primo romanzo

Nel 1952 lo scrittore, in una “lurida e malfamata pensioncina” della città, diede alla luce in meno di un mese il suo esordio 'Sei stato felice, Giovanni'

Anche lo scrittore, giornalista e poeta Giovanni Arpino ha incontrato Genova sui suoi passi. È stata per lui una città di riflessione, di sbandate, di dolorosa crescita personale. Ne parla nel suo primo romanzo Sei stato felice, Giovanni, del 1952, che scrisse proprio a Genova in soli venti giorni.

Arpino nasce a Pola nel 1927 e si traferisce prima a Bra e poi a Torino, dove rimane per il resto della sua vita. Si laurea in Lettere nel 1951 e l’anno successivo pubblica la sua prima opera, che abbiamo appena citato. Nel 1964 vince il Premio Strega con L’ombra delle colline, nel 1972 e nel 1980 il Premio Campiello con, rispettivamente, Randagio è l’eroe e Il fratello italiano

Ha appena 23 anni quando decide di scappare da Torino per approdare a Genova e soggiornando qui per circa un mese, in una "lurida e malfamata pensione. Mangiando male ed il minimo indispensabile" (come citano più fonti), scrive così il suo primo romanzo, ricopiandolo subito a macchina per poterlo inviare alla casa editrice Einaudi dove dopo le prime esitazioni di Italo Calvino, viene ritenuto da stampare “senza esitazioni” da Elio Vittorini.

È proprio a Genova che Arpino decide di ambientare questo romanzo, facendo aggirare Giovanni, il protagonista, ed i suoi due amici Mangiabuchi e Mario, per i suoi vicoli ed il porto, mostrandoci una città che cerca di rialzarsi dopo i danni della guerra. Parla di “ragazzi di strada”, raccontando le loro giornate senza moralismi o impegno sociale. Il protagonista del romanzo è consapevole di dover agire e cercare un lavoro, ma nel frattempo si ubriaca, litiga, si innamora, contrae debiti, frequenta via Prè dove viene soprannominato dalle donne “il Bello”. Passa notti insonni, dopo le quali va al porto a camminare, per viverlo e “averne l’odore”. Prova a capire cosa significhi appartenere a un’umanità di marinai, di prostitute, di vagabondi.

“Verso il porto si vedevano alberi gonfi d’acqua e neri e le cancellate lucide scure lungo il porto con le guardie che le passeggiavano dietro su e giù, curve sotto le mantelline di gomma come grossi insetti. Nell’aria bassa l’odore del catrame, del carbone, gli odori marci dei mercati ondeggiavano fino a terra, poi a un colpo di vento urtavano le facce come giornali fradici sbattuti dal vento”.

“Col secchiello delle rane coperto da una rete e si dormiva, la notte, nelle barche vecchie, muovendoci nel sonno, le barche piegavano ora a sinistra ora a destra, l’odore del legno marcio sapeva di questo e quel mare, s’udivano i gatti miagolare nel cortile della locanda, strisciare la schiena contro i fianchi delle barche. C’erano moltissimi gatti ma non riuscivano mai a svegliare Mangiabuchi. Sveglio, guardavo il cielo quadrato tra i muri che chiudevano il cortile e le stelle nette, mi riaddormentavo quasi subito cercando di non muovermi per non far beccheggiare la barca. Mi riaddormentavo felice”.

(Sei stato felice, Giovanni, 1952)

Il protagonista Giovanni prova in tutti i modi ad essere felice finché stremato, nell’ultima parte del romanzo, si arrende. Una sera, ubriaco e scacciato dalla donna con cui aveva una relazione, urla ripetutamente «sono molto felice» e imbattendosi nel busto di un poeta, gli dice: “Io so solo che sono stato felice e che darei l’anima per poterlo essere ancora un poco. Sicuro, sono stato felice, ma non basta. Non basta mai”.  Dopo aver trascorso qualche tempo girovagando per la città e capisce che ha bisogno di «tornare a sperare», di volersene andare da Genova, e così fa, prendendo un treno direzione Roma, con grande speranza nel futuro. Forse il suo stato d’animo riflette quello dell’Arpino ventenne, che più avanti ammetterà la sua costante tendenza all’insoddisfazione scrivendo: “Sto bene in nessun posto”. 

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