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Costume e società

Pesca del corallo: il metodo (non privo di rischi) dei genovesi nel medioevo

Gli incidenti mortali erano numerosi, anche se a immergersi erano giovani nuotatori esperti

Genova nel medioevo (e oltre) era famosa per il commercio: un porto importante per una grande repubblica marinara, e una delle specialità assolute che da Genova venivano esportate in tutto il mondo era il corallo. L'"oro rosso" fin dall'antichità è considerato raro, misterioso, fragile e dunque preziosissimo: secondo la mitologia il corallo è il sangue di Medusa, una delle Gorgoni, e ha affascinato nel corso dei secoli faraoni, imperatori romani e cinesi, califfi, sultani e principi rinascimentali.

Il Mediterraneo, il Mar Rosso e alcune zone del Pacifico erano mete ideali per la pesca del corallo, ma focalizziamo la nostra attenzione sul "mare nostrum": qui il corallo viene pescato in particolare in Italia, Tunisia e Algeria. Nel medioevo non c'è alcun dubbio, come ricorda l'economista Alessandro Giraudo in "Altre storie straordinarie delle materie prime" (Add Editore, 2021): il commercio del corallo si tiene a Genova, con le famiglie Grimaldi, Lomellini e Doria come principali attori del mercato. La città controlla l'isola di Tabarca, al largo di Tunisi, e stringe rapporti con i principali centri di produzione per garantirsi un'offerta abbondante e regolare. Da qui l'odissea del popolo tabarchino: circa 300 famiglie genovesi si insediarono sull'isola, con il benestare del bey di Tunisi e dell'imperatore Carlo V, e per due secoli i coloni (quasi tutti originari di Pegli) prosperarono. Dopodiché le incursioni dei pirati, la diminuzione del corallo e l'eccesso di popolazione portarono a una diminuzione dei profitti. A questo punto, con una serie di peripezie, i genovesi di Tabarca si insediarono nelle isole adiacenti alla Sardegna non ancora abitate: San Pietro e Sant'Antioco, dove vennero fondate le città di Carloforte e Calasetta in cui - ancora oggi - si parla il genovese.

Ma come veniva pescato il corallo? Giraudo spiega che il metodo richiede "esperienza e precisione. Le reti sono fissate a una specie di croce di Sant'Andrea in metallo che viene gettata in acqua; dopo che si è adagiata, i marinai la issano a bordo per sradicarlo dal fondale. I pescatori che devono immerersi per staccare i coralli dalle rocce sottomarine rimangono il più a lungo possibile sott'acqua per ridurre il numero delle immersioni. Gli incidenti mortali sono numerosi, anche se si tratta di giovani nuotatori esperti".

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