Curiosità: Genova, le vecchie case chiuse e i 'codici segreti' per menzionarle
La situazione negli anni '50, alla fine dei quali la legge Merlin fece chiudere definitivamente queste attività
Prima della legge Merlin, che nel 1958 mise definitivamente i sigilli alle case chiuse in tutta Italia, a Genova erano particolarmente conosciute quelle del centro storico. Ma come venivano ricordati? Quali erano le tariffe? E come si poteva parlare di loro - di nascosto - addirittura sulle pagine dei quotidiani?
I bordelli nella vecchia Genova erano ricordati principalmente con il nome del luogo che li ospitava e, per quanto riguarda le tariffe, ne aveva parlato Michelangelo Dolcino in "Mento del prete e baffi saraceni" (Pirella, 1982) menzionando quelle più comuni negli anni '50, ultimo periodo delle case chiuse: "Al Castagna la semplice costava 10 lire, e così al Lepre e al Pomino; invece al Mele e al Sottomarino 20. e al Suprema 25. Al Carabaghe, soltanto 3. L'orario andava dalle 10 alle 12 del mattino, con personale ridotto, dalle 15 alle 20, al pomeriggio con le ragazze tutte attive e dalle 21 alle 24 di sera. Le ragazze avevano un'età contemporanea tra i 21 (la maggiore età di allora) e i 35 anni".
Nel libro si parla anche di 'marchetta', termine che vediamo utilizzare spesso anche oggi, ma cos'era originariamente? "La famosa marchetta consisteva in un gettone metallico che veniva consegnato a ogni ragazza dal cliente per quantificarne le prestazioni". E poi "Fare 'flanella' significava stare a guardare le ragazze senza consumare. Spesso chi cercava di fare il furbo veniva apostrofato dalle tenutarie con frasi del tipo: 'Qui le ragazze sono professioniste, non lo fanno per divertimento come vostra sorella'".
Una curiosità: c'era un modo per parlare delle case chiuse anche senza nominarle? Certamente sì, lo racconta Giampiero Orselli in "Genova strade misteriose" (Ligurpress, 2020): il 18 settembre 1958 su "Il Secolo XIX" comparve un necrologio in cui "gli amici Giancarlo e Filostrato prendono parte a lutto della nipote Dolly per la scomparsa immatura della cara zia Rina della Lepre. La dura legge del suo breve destino non cancella la massima che ne ispirò le operose giornate: 'Quodcumque boni egeris ad Deum referto'". Ovvero: sia riferita a Dio qualunque cosa avrai fatto di bene. Ma quella frase non giungeva a caso e divenne una specie di messaggio in codice: era infatti la scritta che c'era sopra il portone del palazzo di vico Lepre dove si trovava l'omonima e famosissima casa chiusa, di cui Rina era la tenutaria.