La "Turandot" di Puccini al Carlo Felice
Torna al teatro Carlo Felice di Genova - dal 16 al 21 giugno - la Turandot di Giacomo Puccini, dramma lirico in tre atti e cinque quadri.
Turandot, il testamento di Giacomo Puccini, è anche la sua opera più innovativa, quella con cui il compositore cercò di tenere il passo con ciò che di più avanzato stava accadendo nel teatro musicale europeo a lui contemporaneo (a partire da Richard Strauss), di cui era perfettamente a conoscenza grazie alla sua inesauribile curiosità musicale. Già l’argomento è inconsueto per Puccini: una fiaba “cinese” che i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni trassero dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi (1762), con protagonista non una donna reale, come Mimì, Manon o Butterfly, ma un’algida principessa che dispensa morte per due terzi dell’opera.
Il nuovo, ultimo viaggio è talmente inconsueto che, per affrontarlo, Puccini si rimette a studiare: scova inedite suggestioni orientali diverse da quelle di Butterfly, meno ammalianti e seducenti, più aspre e dure. Scopre le possibilità espressive della dissonanza emancipata sperimentate da Schönberg. E si aggiorna sullo stile dei compositori italiani successivi a lui di una generazione, Malipiero e Casella in particolare. Il risultato è una partitura in cui l’orecchiabile “Nessun dorma” è controbilanciata da intere sezioni in cui l’orchestra assume il colore del ferro. E dove alle dolcezze vocali di Liù, la vittima che si sacrifica per il bene dell’amato principe Calaf, risponde il canto tortuoso di Turandot. O dove macchiette fumettistiche come i ministri dell’imperatore Ping, Pong e Pang sono subito sostituite da scene musicali di luminosità siderale. Una partitura che, per questi motivi, ha sempre esercitato su tutti, amanti e non di Puccini, un fascino quasi stregonesco.
Turandot andò in scena per la prima volta alla Scala il 25 aprile 1926. Dopo “Tu che di gel sei cinta”, intonato da Liù morente nel terzo atto, Toscanini depose la bacchetta annunciando al pubblico che l’esecuzione si fermava in quel punto per la morte dell’autore. Il completamento più eseguito è quello di Franco Alfano, basato sugli appunti originali di Puccini, ma dal 2001 esiste anche il finale di Luciano Berio, che è partito dagli stessi schizzi, interpretandoli diversamente. Al Carlo Felice l’estremo capolavoro di Puccini va in scena nell’ormai classico, applauditissimo allestimento di Giuliano Montaldo.