"Solaris" al teatro Modena: e se gli esseri umani fossero il virus del pianeta?
"Solaris" di David Greig, tratto dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem, arriva al teatro Modena di Sampierdarena dal 9 al 14 novembre 2021.
Due domande fondanti, aspre, complesse: «Chi sono io? Chi siamo noi veramente?». Da questi interrogativi è partito il regista Andrea De Rosa nell’affrontare un’opera complessa come Solaris. Leggendo il romanzo originale, scritto nel 1961 dallo straordinario scrittore polacco Stanislaw Lem, diventato un celebre film, dieci anni dopo, con la regia di Andrej Tarkovskij, De Rosa ha colto le possibilità tutte contemporanee di un’opera che – normalmente catalogata come “fantascienza” – svela inusitate possibilità di comprensione del nostro tempo. Nella versione teatrale, firmata da un drammaturgo dalla cifra robusta come David Greig, la storia del pianeta Solaris e degli sventurati astronauti che lo abitano assume i contorni di una metafora potente e inquietante.
«Ho letto Solaris durante la quarantena – racconta Andrea De Rosa sul sito del Teatro Nazionale di Genova – e mi aveva molto colpito questa idea che gli esseri umani potessero essere il virus e che il pianeta fosse costretto a reagire e a difendersi dalla loro invasione. Solaris è una vera e propria creatura, un pianeta vivente che attraverso il suo immenso oceano cerca di comunicare con gli uomini attraverso i loro desideri che riesce a materializzare sotto forma di fantasmi».
È dunque un viaggio nell’inconscio individuale e collettivo, un confronto con le paure e i sogni, sospeso tra follia e assoluta libertà, quello narrato da Solaris. Un viaggio che supera lo spazio e il tempo, per provare a rispondere, con i mezzi del teatro e con la presenza fisica di un cast di assoluto livello, a quelle eterne domande. Lassù, nello spazio profondo, di fronte all’oceano perduto di un pianeta sconosciuto, la distopia di un racconto fantascientifico diventa struggente e poetica consapevolezza, amaro racconto di amore e di perdita: perché in quel “futuro come era”, immaginato negli anni Sessanta, c’è ancora molto di tutti noi.