"I manezzi pe maja na figgia" omaggio a Gilberto Govi alla Corte
Nuovo sguardo per la rivisitazione, in occasione del 50° anniversario della sua morte, di uno dei maggiori successi del teatro di Gilberto Govi (e di sua moglie Rina), che racconta i bisticci di due non più giovani coniugi, alle prese con la ricerca di un buon partito per la loro unica figlia.
La commedia originale fu scritta dal poeta e drammaturgo genovese Niccolò Bacigalupo (1837-1904), ma venne poi “riadattata” con molta libertà da Gilberto Govi, il quale la portò al successo già negli anni Venti del Novecento. Il protagonista è il signor Steva (diminutivo genovese di Stefano), un maturo sensale, vessato dalla moglie volitiva ed autoritaria e con una figlia da maritare, per la quale sembra esserci lo spasimante ideale nel signor Riccardo, figlio di un senatore, che si ritrova in concorrenza con Cesarino, altro pretendente che però non pare abbia le carte in regola per giungere trionfante al traguardo. Per maritare la ragazza si fanno carte false, i pretendenti vanno e vengono in una girandola di situazioni da risata. La signora Giggia (moglie del protagonista), concentrato di perfidia e di malignità, si prefigge a tutti i costi di accasarla con il benestante signor Riccardo.
Oltre che alla celebre interpretazione di Govi, il grande successo di questa pièce deve molto anche a sua moglie Rina Govi – moglie nella vita come, in questo caso, sul palcoscenico – nel ruolo di “la Giggia”, la padrona di casa, tiranna e maneggiona, che vessa di continuo il povero marito per ottenere i suoi scopi e in particolare lanciare la scalata sociale della famiglia tramite un matrimonio d’interesse per la loro unica figlia. La trama è molto semplice, ma quando la commedia fu scritta, a cavallo tra ‘800 e ‘900, aveva in più, rispetto a oggi, il valore di raccontare in modo nuovo, non solo il divertente archetipo della moglie autoritaria e dittatoriale dentro le mura domestiche, ma anche la forza dirompente di un personaggio femminile capace di mettere in discussione una società ancora fortemente patriarcale.
«Riproporre il teatro di Gilberto Govi non era impresa semplice due anni fa quando misi in scena Colpi di timone, come non lo è oggi. Ma il successo conseguito mi spinge a portare avanti questo coraggioso progetto. Perché coraggioso? Perché il passaggio è davvero molto stretto; infatti se da un lato non esiste una tradizione da “tradire”, dall’altra parte il talento di questo grande primo attore-caratterista, costituisce giocoforza un confronto tanto inevitabile quanto da evitare. Insomma è proprio una specie di trappola. Ma ogni limite che sembra insuperabile affascina e sprona alla sfida» dice il regista Jurij Ferrini.