"Patagonia: conto alla rovescia per la vetta", nuovo Mercoledì Scienza online con gli Amici dell'Acquario
Dopo la pausa delle festività, tornano i Mercoledì Scienza degli Amici dell’Acquario con il terzo incontro del ciclo “Montagne… le salite e le discese ardite” organizzato in collaborazione con l’Acquario di Genova, ilClub Alpino Italiano e Artesulcammino.
Mercoledì 13 gennaio alle ore 17, sul sito www.amiciacquario.ge.it, Michele Focchi, ricercatore al dipartimento di Robotica Avanzata dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Genova), racconta della sua ultima esperienza patagonica vissuta a cavallo del capodanno 2020 insieme a Mirco Grasso e Tommaso Lamantia.
Dopo 3 settimane di brutto tempo la montagna ha permesso loro di scalare una delle sue vette più estetiche al cospetto del Fitz Roy: l'Aguja Mermoz. L'hanno scalata ripetendo una delle sue vie più belle e difficili: il Pilar Rojo (450 m, 7a+), aperta nel 1999 dai tedeschi Kurt Albert e Bernd Arnold. Il Pilar Rojo è un sistema ininterrotto di fessure lungo 600 metri che porta fin sulla vetta dell’Aguja Mermoz richiedendo un'arrampicata sia tecnica che di resistenza.
«La neve era caduta abbondante, sotto la parete si affondava fino al ginocchio – afferma Michele Focchi - ma la via sembrava pulita”. Il gruppo decide così di bivaccare la notte per poi attaccare la mattina seguente. “Alcuni dei tiri sono dei veri e propri capolavori della natura” - prosegue Focchi - “fin da subito ci ha richiesto grande impegno: mentre il primo scalava e ripuliva le fessure, che si sono rivelate piene di ghiaccio, i secondi cercavano di schivare ogni singolo blocco che veniva giù».
Cavalcando la cresta finale, sono arrivati in cima con l'ultimo tramonto del 2019, giusto in tempo per festeggiare il nuovo anno prima di iniziare la lunga serie di doppie che li ha riportati in poche ore alla base della parete.
L'intera salita ha richiesto 27 ore non stop da tenda a tenda.
È Superare i propri limiti fisici e mentali trasporta fuori dalla "comfort zone". È quella "terra di nessuno", tanto temuta quanto sconosciuta, di cui ci parlano i grandi alpinisti del passato, in cui si arriva a conoscere profondamente se stessi. Il peso dello zaino, la fatica, le delicate strategie per riuscire ad arrivare in vetta in un ambiente inospitale come la Patagonia, in uno dei gruppi montuosi piu’ estetici del pianeta, dove si può contare solo su sé stessi, ci fanno vivere la montagna come una scuola di vita e un luogo dove fare l'esperienza del "sublime".
Michele Focchi collabora con un team di ricerca internazionale dell’Istituto Italiano di Tecnologia che si occupa di progettare robot quadrupedi e studiare la loro locomozione. Eclettico, i suoi interessi spaziano dalla psicologia alla ricerca spirituale. Parla 4 lingue, ha vissuto in Spagna e Brasile e viaggiato in tutto il mondo sempre guidato dalla sua sete di conoscenza, che lo ha portato a esplorare culture, usi e costumi diversi. Appassionato di montagna e alpinista a 360°, ha partecipato a diverse spedizioni, la più importante delle quali (Translimes 2017) in un’area inesplorata del Karakorum dove ha aperto nuove vie su montagne fino ai 6000m, che gli sono valse la nomination al Piolets d'or. Negli ultimi due anni ha partecipato ad altre spedizioni sul Monte Ararat, nelle montagne dell'Anti-Atlante e in Patagonia.