"La classe" e quei prof di cui i ragazzi avrebbero tanto bisogno
Lo spettacolo, in scena al Modena, si basa su interviste fatte a circa 2mila giovani tra i 16 e i 19 anni
Cosa succede quando un gruppo di ragazzi ribelli - vittime e allo stesso tempo carnefici in tempi di pregiudizi, bullismo e indolenza - incontrano l'insegnante giusto, con lo sfondo di una periferia degradata e abbandonata a se stessa, e un enorme campo profughi denominato "lo zoo"?
"La classe" di Vincenzo Manna per la regia di Giuseppe Marini, prodotto da Società per Attori, Accademia Perduta Romagna Teatri e Goldenart Production - in scena al teatro Modena di Sampierdarena fino a giovedì 30 gennaio - mette sotto i riflettori un'ordinaria storia di disagio, con tutto l'impegno di un giovane professore che nel suo mestiere (formare, oltre che insegnare) ci crede fino in fondo.
Ignoranza, paura, violenza e pregiudizio sono i perni attorno a cui ruotano le storie di Nicolas, Vasile, Arianna, Talib, Maisa e Petra, studenti sospesi per motivi disciplinari e costretti a frequentare un corso pomeridiano di recupero: in cattedra il professor Albert, immigrato di terza generazione.
La situazione è complicata fin da subito: nonostante le buone intenzioni del professore, i ragazzi sono strafottenti, violenti, non sembrano minimamente intenzionati a collaborare. E il mondo degli adulti intorno a loro non aiuta: il preside li considera casi irrecuperabili (è emblematico il monologo sulle galline che, per quanto possano saltare ogni tanto, non riusciranno mai a volare) tanto che neppure lui crede al corso di recupero, ed è più concentrato nell'autoassolvimento che nella sua missione di insegnante. Nessuno li vede, nessuno li ascolta, questi ragazzi in cerca di se stessi.
Invece Albert lo fa. Con pazienza e resilienza. Subisce anche la loro aggressività, ma li ascolta, e fa emergere le insicurezze nascoste dietro agli atteggiamenti da bulli. E qualcosa lentamente si sblocca quando i ragazzi si convincono ad affrontare un concorso legato a un bando europeo sul tema dell'Olocausto, scoprendo che morte, torture e violazione dei diritti umani fanno ancora parte del vocabolario di molti loro coetanei nel mondo.
Si apre una breccia in quel mondo che molti adulti - simboleggiati dal preside - non provano nemmeno a capire e liquidano nella categoria dei "casi disperati", ed ecco che per quei giovani c'è improvvisamente una speranza.
Dietro a quello che può sembrare solo uno spettacolo, rappresentato in scena con un crescendo di tensione e fisicità, c'è in realtà di più: il progetto "La classe" - sostenuto da Amnesty International - è uno spettacolo di teatro civile che vede la sinergia di soggetti operanti nei settori della ricerca, della formazione, della psichiatria sociale, della produzione di spettacoli dal vivo, e si basa su circa 2mila interviste a giovani tra i 16 e i 19 anni, l'età dei protagonisti, che hanno risposto a domande sulla loro relazione con gli altri (intesi anche come "diversi") e sul loro rapporto con il tempo, visto come capacità di legare il presente a un passato anche remoto. E, infine, sui professori intesi non come semplici insegnanti ma come appassionati formatori di giovani cittadini, di cui c'è sempre tanto bisogno.