Simone de Beauvoir. Il suo nome evoca un intero universo. Femminismo. Libertà sessuale. Ed evoca anche i nomi di coloro che l'hanno conosciuta e apprezzata: Sartre, Camus, Merleau-Ponty. Tra questi c'è anche un nome, oggi relativamente sconosciuto: quello di Violette Leduc. La Leduc è stata per molti versi un pioniere come la de Beauvoir, ma al contrario di quest'ultima non ha conosciuto la fama e il successo, ma ha dovuto fare i conti con la povertà, l'indifferenza verso il suo lavoro e diversi problemi psicologici.
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Recensione
Dopo il successo di Séraphine, Martin Provost torna a raccontare la vita di uno storico personaggio femminile. Protagonista è Violette Leduc, scrittrice forse tra le più misconosciute fuori dai confini francesi, autrice di romanzi che sfidavano apertamente la censura parlando di temi come aborto, sesso e omosessualità femminili. Argomenti tabù che la società rifiutava.
Il rifiuto è un tema cardine nella biografia della Leduc, come pure nel film di Provost. Il regista mette in scena la vicenda personale tortuosa e drammatica di Violette, senza lasciarsi prendere dalla tentazione di realizzare una agiografia della propria protagonista. Fondamentale il rapporto con Simone de Beauvoir, che ne intuì il talento e la spinse a continuare nella scrittura.
Provost ricostruisce con sapienza la Parigi del dopoguerra e il suo ambiente culturale, per un film raffinato e sensito: merito soprattutto delle sue protagoniste, Emmanuelle Devos e Sandrine Kiberlain