Falso smaltimento di pannelli fotovoltaici poi rivenduti in Africa, sequestro da 1 milione di euro
I Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico hanno eseguito il sequestro preventivo di uno stabilimento attivo nella commercializzazione di pannelli fotovoltaici e del suo contenuto
I Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Genova, in collaborazione con i colleghi di Treviso e del comando provinciale dei Carabinieri di Vicenza, nell’ambito di una strutturata attività investigativa coordinata dal Procuratore Aggiunto di Genova Paolo D’Ovidio e dal Sostituto Procuratore della Repubblica Andrea Ranalli, hanno eseguito il sequestro preventivo (del valore ci circa un milione di euro) , emesso dal Tribunale del capoluogo ligure, di uno stabilimento attivo nella commercializzazione di pannelli fotovoltaici e del suo contenuto, nonché dei moduli fotovoltaici presenti presso un'altra società di recupero rifiuti.
L’attività investigativa è stata sviluppata dai Carabinieri del Noe di Genova e si inserisce in una più ampia strategia di monitoraggio e controllo della gestione, nonché delle spedizioni transfrontaliere di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), in particolare di pannelli fotovoltaici, indicata dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale di Roma.
Le investigazioni sono iniziate a seguito di ispezioni di container di una società vicentina avvenute nel Porto di Genova durante l’estate del 2019. Tali verifiche, che inizialmente avevano evidenziato irregolarità nelle modalità di trasporto, hanno successivamente fatto emergere una modalità di gestione irregolare dei pannelli fotovoltaici derivanti dalla dismissione di grandi impianti dislocati in molte regioni italiane.
Il meccanismo messo in campo dagli indagati consisteva nella raccolta di ingenti quantitativi di pannelli dismessi dichiarati rifiuti per il solo tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano smontati e prelevati e l’impianto di trattamento. A questo punto, venivano rilasciate agli ignari produttori originari del rifiuto false dichiarazioni di distruzione dei pannelli, ma in realtà venivano recuperati metalli vari, silicio, vetro, plastiche nobili e altre materie riutilizzabili. Tali attestazioni consentivano di richiedere al Gestore Servizi Energetici la cauzione versata. Ai pannelli fotovoltaici, che non avrebbero dovuto più esistere, mediante l’apposizione di nuove matricole e attestazioni “standardizzate” di verifiche funzionali, veniva, dunque, fornita nuova vita.
Questo sistema assicurava agli indagati un guadagno articolato su tre vantaggi: incassi di cospicue somme di danaro per il ritiro dei rifiuti dai produttori, elusione dei costi di trattamento e rivendita dei pannelli fotovoltaici come apparecchiature elettriche usate a paesi in via di sviluppo (in particolare in Burkina Faso).