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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Giovane ucciso durante Tso, il poliziotto a processo. La reazione dei sindacati

«Quanti appartenenti alle forze dell’ordine devono ancora morire, perché non si metta sempre in dubbio il loro diritto di difendersi?». La domanda del segretario generale del sindacato Fsp della polizia di Stato

«Quanti appartenenti alle forze dell’ordine devono ancora morire, perché non si metta sempre in dubbio il loro diritto di difendersi?»: così ha chiesto Valter Mazzetti, segretario generale del sindacato Fsp della polizia di Stato, a proposito della vicenda giudiziaria in cui un giudice del tribunale del capoluogo ligure ha disposto il processo per l’agente che sparò e uccise il giovane Jefferson Tomalà , dopo che questi aveva aggredito a coltellate un collega, ferendolo gravemente, nonostante che la Procura avesse chiesto l’archiviazione.

In una nota diffusa nella mattina di sabato 30 marzo, Mazzetti ha scritto che «a Genova si verifica l’ennesima circostanza che trasmette un preciso segnale: si infierisce su un poliziotto che ha operato legittimamente. Un agente vede il collega ferito in modo gravissimo, sanguinante, è costretto a sparare a chi si accanisce su entrambi; anche in sede giudiziaria viene riconosciuto che non poteva fare altrimenti, che vedere un altro poliziotto in pericolo di vita non gli ha lasciato altra scelta che mettere mano alla pistola (non avendo altro da usare!), che quella difesa fu legittima; e però, il modo in cui l’agente ha agito, legittimamente, non piace, e così lo si precipita in un vero e proprio inferno che gli sta costando tutto, sul piano professionale, umano, economico, familiare».

Il sindacalista conclude: «Ancora una volta, ci troviamo a ripetere che le decisioni dei magistrati devono essere rispettate, ma ciò non significa che non possano essere criticate».

Sulla questione si è espresso anche il sindacato Il Siap, dichiarandosi vicino al poliziotto rinviato a giudizio: «come sempre, rispetta le scelte della magistratura, nella quale ha fiducia a ogni livello», e però «anche oggi, come nell’immediatezza del fatto, pure rispettando il dolore della famiglia della persona deceduta, si stringe intorno a un giovane poliziotto che con il suo gesto ha accelerato l’introduzione del taser, strumento da utilizzare come ultima ratio in circostanze ben definite, che non avrebbe ucciso una persona che in quel drammatico momento stava ammazzando un poliziotto che svolgeva il suo lavoro da più di 30 anni e che durante un trattamento sanitario obbligatorio stava cercando il dialogo in quella casa svolgendo compiti di supporto psicologico che non dovrebbero rientrare nelle funzioni peculiari dei poliziotti».

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