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Cronaca Sampierdarena / Via Walter Fillak

Delitto di via Fillak, il dolore dei familiari: «Ora vogliamo giustizia»

L'intervista a Jenny Reyes e Alfredo Coello, mamma e fratello di Angela Coello Reyes, la donna uccisa sabato 8 aprile nel suo appartamento di Certosa. Arrestato per il delitto il marito, che ha confessato

«Non posso certo dirmi contenta, perché ho perso una figlia. Ma sono soddisfatta che il suo assassino sia stato arrestato, e adesso spero in una pena giusta». A parlare è Jenny Reyes, la mamma di Angela, “Nena” per chi la conosceva e le voleva bene, uccisa la sera di sabato nel suo appartamento di via Fillak, a Certosa, con una coltellata al petto.

Per l’omicidio è stato arrestato il marito, Javier Napoleon Gamboa, operaio edile 52enne che dopo avere confessato è stato trasferito in carcere, dove attende un processo che si preannuncia lungo e difficile. Soprattutto per i familiari di Angela, 39 anni e un figlio di 21, Napoleon, avuto proprio da Gamboa: una relazione durata anni e costellata di violenze fisiche e psicologiche, come confermano il fratello e la madre, a sua volta vittima della rabbia dell'uomo.

«Vorrei la massima pena per questa persona, non voglio che rimanga impunita. In 23 anni ha fatto male a mia figlia in molti modi, e anche a me». Nello studio del suo avvocato, Giuseppe Maria Gallo, Jenny Reyes è calma e decisa, ma la voce trema quando ricorda Nena, le sue sofferenze e la tragica fine cui è andata incontro. Ripensando a come l'ex genero si è giustificato davanti agli inquirenti, parlando di presunti video che gli sarebbero stati inviati dall’amante di Angela per farlo ingelosire, è però la rabbia a prendere il sopravvento: «Abbiamo visto le sue dichiarazioni, e siamo ancora più amareggiati, è solo un modo per togliersi responsabilità, sono tutte falsità - sottolinea angosciata - Noi siamo certi che questa persona resterà in carcere, siamo fiduciosi. Io adesso devo tornare in Ecuador con mia figlia, ma poi tornerò, e seguirò il processo passo dopo passo».

Omicidio di via Fillak, parla la famiglia di "Nena": «Una violenza lunga 23 anni»

Una lunga storia di abusi e violenze

A poco più di una settimana dalla morte, la procura ha dato il nulla osta ai funerali e al trasferimento della salma di Angela in Ecuador, paese che ha lasciato 23 anni fa per trasferirsi a Genova e dove è rimasto il padre. Che nel corso degli anni non è mai riuscito a vedere la figlia:

«Le violenze sono iniziate subito, già quando mia figlia era incinta, aveva 19 anni. Quell’uomo la picchiava sempre - ricorda Jenny Reyes - Non le ha mai permesso di tornare in Ecuador, né da sola né con me, e suo padre l’ha vista molto raramente. Quando sono arrivata io in Italia se l’è presa anche con me, mi ha aggredito con un coltello. Abbiamo sporto denuncia, ma le violenze non si sono fermate».

Un rapporto iniziato quando Angela aveva solo 17 anni, fatto di violenti litigi e scenate di gelosia, l’ultima proprio la sera del 7 aprile, quando (stando alla confessione che Gamboa ha reso al pubblico ministero e al gip) nell’appartamento di via Fillak che la donna condivideva con una coinquilina si è consumata la tragedia: Gamboa, appena rientrato dall’Ecuador, ascolta una telefonata che la moglie riceve sul cellulare mentre stanno guardando la televisione. Chiede spiegazioni, diventa sempre più violento, incalza Angela sino a quando non afferra un coltello e la colpisce. Poi copre il corpo con un soprabito, afferra il suo cellulare (sosterrà poi con gli inquirenti di averlo fatto per errore) e scappa: verrà individuato due giorni dopo in via delle Fabbriche, a Voltri, in stato confusionale e con gli abiti macchiati di sangue. Ai poliziotti che lo intercettano ammette subito di avere ucciso Angela, confessione che ripeterà anche ai carabinieri, che in questi giorni stanno approfondendo le indagini per ricostruire cosa sia esattamente accaduto quel tragico sabato sera.

Il fratello: «Quando l'ho vista pensavo dormisse»

«Quando mi hanno avvisato di quello che era successo non ci potevo credere - ammette Alfredo Coello, fratello di Angela e tra i primi ad arrivare in via Fillak domenica mattina, dopo che il corpo della sorella era stato scoperto dalla coinquilina rientrata dal lavoro - Poi sono entrato e l’ho vista. Pensavo dormisse. Ci siamo accorti che non dormiva affatto. Oggi sto malissimo, spero che la giustizia faccia il suo corso, e lo faccia bene, perché quello che ha fatto a mia sorella rimarrà per sempre inciso nel nostro cuore, un dolore profondo che non passerà mai».

Unica consolazione per la famiglia, l’abbraccio e il sostegno della comunità sudamericana genovese, che si è subito stretta intorno a loro: «Siamo rimasti uniti, e sono contenta che sia nostri connazionali sia tanti italiani ci siano stati così vicini - sorride Jenny Reyes - Voglio ringraziarli tutti, anche i carabinieri che stanno portando avanti le indagini. L’unica cosa che mi dispiace è non avere avuto notizie dai familiari di Gamboa, che abitano a Genova e di cui siamo anche parenti. Non mi hanno mai telefonato, mai, neppure dopo avere avuto la conferma della confessione».

Omicidio di via Fillak, l'avvocato della famiglia: «Diffamazione da parte del marito»

L'avvocato: «Ci riserviamo di sporgere denuncia per diffamazione»

Le indagini sull'omicidio di Angela, intanto, proseguono. I carabinieri del comando provinciale, i primi a intervenire la mattina dell'8 aprile, hanno messo sotto sequestro l'appartamento di via Fillak per passarlo al setaccio in cerca di indizi e prove utili a ricostruire la catena di eventi che ha portato alla morte di Angela.

Si cerca in particolare lo smartphone di Gamboa, che a detta dell'uomo conterrebbe i video privati di Angela e dell'amante e che avrebbero scatenato la sua rabbia: «A oggi, nonostante che le dinamiche siano ormai abbastanza chiare, gli inquirenti sono alla ricerca di altri dettagli - conferma l'avvocato Gallo - ma il fatto che la casa resti sotto sequestro dimostra che le indagini sono ancora in corso, anche per verificare la veridicità delle dichiarazioni dell’indagato. Che è vero che ha confessato, ma ha riportato un versione dei fatti tutta sua. Legittimo, ci mancherebbe, ma la famiglia sta valutando se sporgere querela per diffamazione, perché la storia resa pubblica dei presunti video privati attraverso i quali sarebbe stato provocato a distanza l’assassino al punto da tornare in Italia è secondo noi senza fondamento, e per quali ci riserviamo di procedere per vie legali»

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