rotate-mobile
Cronaca

Microchip nei camici, scoppia il caso al Galliera

A denunciare la presenza del dispositivo negli abiti da lavoro, uno dei portieri dell'ospedale cittadino. La Regione: «Questione di sicurezza e risparmio»

Un microchip cucito all’interno dei camici utilizzati sul posto di lavoro: questa la denuncia di uno dei dipendenti dell'ospedale Galliera, che nei giorni scorsi ha scoperto nel camice che indossa ogni giorno il minuscolo dispositivo facendo scoppiare un vero e proprio "caso".

La denuncia

Tullio Rossi, assunto come portiere al Galliera, lo ha trovato quasi per caso: ha sentito un piccolo rigonfiamento nella camicia, ha tagliato il tessuto e ha individuato quello che si è rivelato essere un dispositivo con localizzatore gps. Che, stando a quanto appurato in seguito, sarebbe presente negli indumenti da lavoro di gran parte dei dipendenti delle asl liguri. 

La reazione è stata immediata: da una parte i sindacati - di cui fa parte anche Rossi - che hanno definito l’accaduto «una gravissima violazione della privacy» e «un modo illegale per controllare i dipendenti», sottolineando come i lavoratori non siano stati messi al corrente dell’utilizzo di sistemi di controllo a distanza come il microchip; dall’altra le forze politiche, dal Movimento 5 Stelle, che ha espresso «solidarietà ai lavoratori e sdegno per la scelta di infilare i microchip nei camici degli operatori sanitari a loro insaputa. Una condotta gravissima, su cui indagheremo a fondo per valutarne i profili legali in termini di privacy»; al Pd, che con una nota congiunta da parte dei consiglieri regionali ha chiesto chiarimenti in consiglio da parte dell’assessore alla Sanità, Sonia Viale.

Le spiegazione della Regione: «Il chip “traccia” il capo da lavare»

Proprio la Viale, in seguito alle polemiche, ha spiegato che «il capitolato della gara per la fornitura a noleggio di biancheria è chiarissimo: l’obiettivo del microchip è garantire un efficientamento del sistema per evitare sprechi e dimenticanze dei camici al di fuori degli ospedali, assicurando una corretta contabilizzazione dei materiali forniti, una maggiore sicurezza rispetto alle norme igieniche e antincendio, una maggiore qualità dei tessuti anche a garanzia del decoro delle divise e della biancheria utilizzate. Dalle informazioni acquisite, poi, questo sistema risulta già diffuso in molte regioni d’Italia, proprio per evitare sprechi e ammanchi. Data la delicatezza della materia, al di là della precisione delle finalità descritte chiaramente nel capitolato, ho comunque già disposto ulteriori approfondimenti, a garanzia di tutto il sistema». 

Proprio al codice a barre, comunemente usato per riconsegnare il capo al titolare una volta lavato, ha fatto riferimento il commissario straordinario di Alisa, Walter Locatelli, che ha spiegato che l’etichetta si sarebbe rivelata «insufficiente e non idonea a garantire la correttezza dei dati, generando quindi sprechi. Al contrario, il microchip consente di sapere sia quando il camice viene ritirato dalla ditta che effettua il servizio di lavanderia e poi riconsegnato al dipendente sia, di conseguenza, quanti cicli di lavaggio l’indumento subisce, visto che dopo un certo numero deve essere sostituito. Il nuovo sistema garantisce anche il rispetto delle norme di sicurezza e antincendio in base alle quali il materiale ospedaliero, in particolare delle sale operatorie o di alcuni reparti, debba essere lavato esclusivamente con determinati prodotti».

I sindacati: «Valutiamo vie legali»

La spiegazione non ha però convinto i sindacati, che hanno chiesto alla Regione un chiarimento immediato con cui spiegare «la finalità e la modalità di utilizzo del microchip. Verificheremo con i nostri avvocati la legittimità di questo atto, e faremo tutte le azioni utili ad impedire qualsiasi tentativo di limitazione della libertà personale e lesione del rapporto fiduciario con i lavoratori da parte della Regione».

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Microchip nei camici, scoppia il caso al Galliera

GenovaToday è in caricamento