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Cronaca

Dall'ex militare all'ultrà: arrestati i reclutatori dei mercenari italiani in guerra in Ucraina

L'inchiesta è partita dalla Procura di Genova, decisa a scavare nei rapporti tra l'area skin ligure e le milizie filorusse impegnate sul fronte del Donbass

L’inchiesta parte da lontano, da quel territorio in cui ormai da 4 anni si combatte una guerra civile che vede schierati da un lato i separatisti russi, dall’altro le forze della Repubblica Ucraina, impegnati a contendersi il bacino del Donbass, quella porzione di Ucraina orientale che comprende le regioni di Donetsk, Luhansk e Kharviv. Zone dal 2014 sono occupate da milizie armate decise a riportarle sotto il dominio russo (come già accaduto con la Crimea), che tra le fila dei combattenti, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova, annovera anche mercenari italiani, reclutati a loro volta da “contractor” sempre italiani, in gran parte uniti da un’ideologia di estrema destra, tra cui Forza Nuova e Casapound.

Chi sono gli arrestati

Per 6 di loro, tra la notte di martedì e l’alba di mercoledì, sono scattati altrettanti ordini di misura cautelare in carcere, 3 delle quali eseguite tra Milano, Avellino e Parma: si tratta di Antonio Cataldo, ex soldato originario di Nola, in Campania, nel 2011 arrestato a Tripoli durante il conflitto in Libia e successivamente liberato; di Olsi Krutani, cittadino albanese residente nel milanese, presunto ex ufficiale delle Aviotruppe russe, operatore informatico e istruttore di arti marziali; e di Vladimir Verbitchii, moldavo residente a Parma (che è anche il suo nome di battaglia).

All’appello mancano ancora Andrea Palmeri,  capo ultrà della Lucchese ritenuto uno dei leader dell'organizzazione; Gabriele Carugati, ex addetto alla sicurezza di un centro commerciale lombardo e figlio di una delle storiche dirigenti della Lega di Varese; e Massimiliano Cavalleri, detto “Spartacus”, bresciano, ex militare dell’Esercito Italiano durante un periodo di ferma volontaria e già combattente in Bosnia nel 2001.

«Uno degli arrestati, come è emerso dagli accertamenti, svolgeva sul campo attività di cecchino - conferma il colonnello Luigi Imperatore, comandante del Ros - Il livello di preparazione era molto alto, uno di loro prima ha partecipato in concorso al reclutamento, poi in prima persona si è spostato nei territori al confine tra la Siria e l’iraq per combattere al fianco di gruppi satellite del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan». 

Quali sono le accuse

Il sospetto degli inquirenti è che Palmeri, Carugati e Cavalleri (come dimostrerebbero anche i post sui social network, piazza virtuale che gran parte degli indagati hanno usato per condividere la propria ideologia e raccontare le loro gesta, così come fatto anche accettando di parlare con alcuni giornalisti) si trovino attualmente in territorio di conflitto, e dunque fuori dalla giurisdizione italiana. Per tutti loro l’accusa è di “associazione a delinquere finalizzata al reclutamento e al finanziamento di mercenari combattenti al fianco di milizie filorusse, reclutamento e istruzione dei mercenari e attività di partecipazione al conflitto, fatti aggravati dalla transnazionalità dei reati”, mentre è ancora al vaglio al posizione di 7 persone per cui sono state effettuate perquisizioni domiciliari nell’ambito della stessa operazione.

L’assunto da cui è partito il gip del tribunale di Genova nel firmare le ordinanza di custodia cautelare è la violazione della legge del 1995 con cui l’Italia ha ratificato una convenzione Onu del 1989, che punisce sia la propaganda per il reclutamento in milizie armate sia l’esercizio dell’attività militare nelle stesse milizie: un reato differente rispetto a quello imputato al “foreign fighter”, definizione che si attribuisce a chi imbraccia le armi per motivi ideologici combattendo per un’associazione identificata come di stampo terroristico (che non è il caso delle milizie filorusse nel Donbass). 

Nel caso dei mercenari e dei contractor italiani, all’ideologia si associava anche il pagamento in denaro per il servizio in combattimento. Cifre ancora da quantificare, sottolinea il pubblico ministero Federico Manotti, che coordina l’indagine insieme con i carabinieri del Ros, ma che sono state certamente corrisposte, direttamente sul campo e in contanti: dalle intercettazione telefoniche, risultano diverse conversazioni in cui alcuni indagati si lamentano per “paghe troppo basse”, o raccontano di avere ricevuto finalmente “gli arretrati”. Il pagamento c’è stato, insomma, ed è così che il reato si configura e possono scattare le ordinanze.

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L’inchiesta partita dal levante ligure

A far scattare gli accertamenti dei Ros erano stati elementi investigativi emersi proprio in ambienti antagonisti della Liguria, in particolare dello spezzino, dove nel maggio 2016 due minorenni erano stati fermati per avere tracciato sui muri alcune scritte inneggianti al nazismo. Dalle perquisizioni, disposte dal tribunale dei Minori, erano emersi altri dettagli che avevano confermato la loro appartenenza all’area skin (oltre che materiale esplosivo), indizi da cui gli investigatori erano partiti per ricostruire la rete di contatti che, in Liguria, confluiva su un genovese considerato il punto di riferimento dei giovani. Sarebbe questo soggetto, per la procura, a tenere i contatti per il reclutamento di risorse da inviare in territorio di conflitto ucraino.

Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova e dei carabinieri del Ros sono state inoltre supportate da quelle condotte dal Consiglio dell’Unione Europea, che aveva comunicato all’Italia i nominativi di alcuni soggetti ritenuti responsabili di “azioni che minacciavano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”, per cui era stato predisposto il divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione Europea e il congelamento di fondi e risorse economiche.

Anche le autorità diplomatiche ucraine hanno partecipato attivamente all’indagine, inviando un elenco di persone ritenute coinvolte nelle operazioni militari contro l’esercito ucraino al fianco delle formazioni armate delle autoproclamate Repubbliche popolari di Lungansk e Donetsk, ufficialmente sostenute da Vladimir Putin. Tra loro ci sono anche alcuni degli indagati dell’Operazione 88, così ribattezzata per il saluto che usavano scambiarsi durante le telefonate, catturato dalle intercettazioni: “Heil Hitler”.

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