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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

«Martina non voleva uccidersi», ecco perché la Cassazione ha annullato le assoluzioni nel caso Rossi

Diffuse le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 21 gennaio è stata annullata l’associazione di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi: il fatto che la ventenne fosse senza pantaloncini smonta la tesi della difesa

''La mancanza dei pantaloncini appare difficilmente collegabile a un gesto suicidario’’: per i giudici della III sezione penale della Corte di Cassazione, Martina Rossi non voleva uccidersi quando, il 3 agosto del 2011, scavalcò la balaustra del balcone dell’hotel di Palma di Maiorca in cui soggiornava per una vacanza.

I giudici della Cassazione lo scorso 21 gennaio hanno annullato l’assoluzione dei due aretini Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, e nei giorni scorsi hanno diffuso le motivazioni della sentenza di assoluzione. In cui il modo in cui Martina è stata trovata ha avuto un peso decisivo.

La ventenne genovese, infatti, quella notte non indossava i pantaloncini, elemento che per l’accusa e per i genitori di Martina è sempre stato indicativo della necessità di fuga della ragazza, fuga da un tentativo di violenza sessuale che l’avrebbe spinta a cercare di uscire dalla stanza d’albergo usando la finestra, con conseguenze fatali. Per la difesa, invece, Martina è morta perché voleva togliersi la vita.

Per i giudici della Cassazione, il fatto che Martina non indossasse i pantaloncini è invece “un elemento gravemente indiziario, soprattutto se letto in correlazione ai graffi sul collo di Albertoni''. ''Ciò che conta è che Martina precipitò senza i pantaloncini del pigiama - si legge ancora nella sentenza - e tale elemento oggettivo indiscutibile non può 'sparire' anch'esso dalla valutazione dei giudici di merito, ma deve essere correttamente considerato in collegamento con le altre evidenze probatorie al fine di esaminare in via deduttiva le probabili o possibili ragioni della sua mancanza addosso a Martina al momento della caduta, essendo evidente che i pantaloncini con cui la ragazza giunse nella stanza d'albergo degli imputati furono tolti quando la stessa si trovava all'interno della camera 609''.

La Cassazione insiste, approfondisce le motivazioni dell’annullamento dell’assoluzione: ''La più evidente carenza di analisi, con conseguente evidente insufficienza motivazionale e mancanza di motivazione rafforzata, va rilevata in riferimento ai contenuti della audio-video intercettazione effettuata il 7 febbraio 2012 (proprio fra Albertoni e Vanneschi, ndr), la cui analisi è addirittura ritenuta superflua dal Collegio d'appello''.

Il processo torna dunque in corte di Appello, a Firenze, dove le osservazione della Cassazione potrebbero rivelarsi decisive: «È stata omessa ogni valutazione delle circostanze fondamentali già poste a base della decisione del giudice di prime cure - si legge ancora nella sentenza - da un lato, dell'esultanza dei due imputati nell'avere avuto contezza - per l'abilità di Albertoni che aveva approfittato di un breve allontanamento dalla stanza della ispettrice che conduceva l'esame per sbirciare sui fogli della cartellina - che sul cadavere della vittima non erano state rinvenute evidenze di aggressione di tipo sessuale, ipotesi ricostruttiva neppure sfiorata in quel momento dalle indagini, e dall'altro della successiva soddisfazione commentata con un 'fottati', significativo della sensazione di averla fatta franca, oltre alla confessione di essere stati 'salati' la sera degli eventi, ossia sotto l'effetto di sostanze stupefacenti».

Bruno Rossi, papà di Martina, ha commentato la sentenza con l’Ansa: «Dalle motivazioni emerge la verità su quanto successo a mia figlia. Ma sono stati persi dieci anni. Dieci anni in cui io e mia moglie abbiamo lottato perché potevamo - ha detto l’ex portuale - Ma se ci fossero stati altri due genitori senza le nostre risorse, come avrebbero fatto. Ci hanno tolto la vita, la cosa più bella del mondo. E i giudici di appello stavano facendo passare un brutto segnale: che chi compie una nefandezza tale può pensare di farla franca. Ma queste persone, e anche chi ci comanda, hanno una coscienza? Hanno dei figli, nipoti a cui potrebbe succedere una cosa del genere?».

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Vanneschi e Albertoni erano stati condannati in primo grado a 6 anni per morte in conseguenza di altro reato e tentata violenza sessuale: il pubblico ministero ha sempre sostenuto la tesi avanzata anche dai genitori di Martina, e cioè che la ragazza stesse scappando dai due giovani e che, visto che la porta della stanza era chiusa, abbia tentato di mettersi in salvo scavalcando il balcone della stanza per raggiungere quello della sua, perdendo l'equilibrio e precipitando.

La condanna del 2018 era però stata annullata dopo che la Corte d’Appello di Firenze aveva prima dichiarato prescritto il reato di morte in conseguenza di altro reato, e poi nel giugno 2020 aveva assolto Vanneschi e Albertoni dal reato di tentata violenza sessuale perché “il fatto non sussiste”, dichiarando però che “un’aggressione di carattere sessuale non può neppure del tutto escludersi”. Adesso la Cassazione ha stabilito che il processo in appello va rifatto.

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