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Cronaca Centro Storico / Stradone di Sant'Agostino

Colata di cemento per mettere in sicurezza i giardini, studenti si oppongono

I giardini del convento di Santa Maria in Passione devono essere messi in sicurezza prima di poter essere restituiti dalla facoltà di architettura al Comune, ma il progetto definitivo trova la ferma opposizione degli studenti. Ecco perché

Ieri mattina alla presenza di cinque agenti della Digos sono ripresi i lavori all'interno dei 'giardini Babilonia', lo spazio verde adiacente ai ruderi del convento di Santa Maria in Passione, accanto alla facoltà di architettura in stradone Sant'Agostino. Venerdì alcuni studenti hanno deciso di opporsi alla realizzazione di una colata di cemento, che permetterebbe di mettere in sicurezza l'area prima del suo ritorno al Comune di Genova.

Per chiarire meglio la vicenda riportiamo quanto scrivono gli studenti sul sito liberacollinadicastello.org.

Premessa sull'area
Le terrazze in oggetto in passato erano una cisterna del complesso monastico di Santa Maria in Passione: il grosso muro che affiora dalla terra ne è l'ultima testimonianza, in quanto la copertura della cisterna fu demolita perchè pericolante. Sopra le sue macerie venne riportata la terra e l'area rimase chiusa da reti di cantiere dagli anni '90 fino al 2012, quando queste vennero spontaneamente rimosse.

La riapertura e il progetto conviviale
Con la rimozione delle reti sono state gradualmente riaperte e rese accessibili la piazza San Silvestro e le sue vie di accesso, le terrazze verdi sottostanti e si è dato concretamente avvio al progetto di recupero dell'intero versante della collina: l'11 aprile 2013 un gruppo informale di studenti e residenti presenta a Comune, Università e Soprintendenza il “progetto conviviale”. Gli enti ne approvano i contenuti e nei mesi a seguire l'Università s'impegna a mettere in sicurezza l'area prima di cederla al Comune con un contratto di comodato. Contemporaneamente, il gruppo proponente viene escluso dal tavolo decisionale e dalla fase di progettazione esecutiva, in quanto non formalizzato. A febbraio 2015 vengono realizzati due cancelli e alcune ringhiere per una spesa di circa 14mila euro. Dopo mesi di silenzio, a quasi tre anni dalla prima approvazione, successivamente alla sollecitazione del neonato comitato “liberi abitanti di castello”, l'Università avvia l'ultima fase di messa in sicurezza, ovvero un cordolo di cemento armato lungo 9 metri, realizzato per sostenere una righiera alta 1,40 metri per la spesa di oltre cinquemila euro (ringhiera esclusa).

Il 31 marzo abbiamo interpellato professori e archeologi, abbiamo parlato con l'impresa, abbiamo cercato di contattare i vertici dell'Università e ci è stato chiesto di procedere formalmente, e allora abbiamo scritto, disegnato, proposto un'alternativa.

Formalmente, ufficialmente non ci è stato risposto niente. Il solito silenzio assordante. Informalmente, solo dei gran consigli a lasciar perdere, che tanto va così, ormai.

Dopo una mattinata frenetica passata a provare a contattare gli uffici delle Soprintendenze e dell'Università senza mai ottenere una risposta, le persone che oggi pomeriggio hanno scelto con i propri corpi di rallentare e poi pretendere la sospensione dei lavori non sono altro che uomini e donne che non si capacitano che un percorso lungo tre anni possa generare un risultato così modesto e concludersi in fretta e furia addirittura chiedendo l'intervento della forza pubblica e minacciando denunce.

Sappiamo benissimo che questi banalissimi lavori hanno seguito correttamente il loro iter burocratico tra gli uffici di università e soprintendenza e non abbiamo nessun interesse a fermare l'opera di messa in sicurezza che, pur criticabile, renderebbe finalmente l'area pienamente cedibile al Comune, vedendo compiuto un altro passo del progetto conviviale.

Motiviamo fermamente la richiesta di sospensione dei lavori semplicemente per le evidenti questioni di sproporzione. Soprattutto, ora che lo scavo per la gettata ha constatato che non sono presenti reperti di rilevanza archeologica, crediamo che la variante al progetto possa essere presa in considerazione perchè rispetta il principio del minore intervento ed esclude l'aggiunta di materiale cementizio all'interno dell'area archeologica.

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