G8 2001, per la Corte Europea «Alla Diaz fu tortura»
I giudici della Corte hanno stabilito all'unaminità che durante il blitz alla Diaz è stato violato l'articolo 3 della Convenzione di Diritti dell'Uomo: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»
Nella scuola Diaz durante la notte del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova, la polizia ha tenuto un comportamento, che «deve essere qualificato come tortura».
A dirlo è la Corte Europea dei Diritti Umani, che ha condannato l'Italia non solo per quanto commesso nei confronti di uno dei manifestanti, ma anche perché non ha una legislazione adeguata per punire il reato di tortura.
I giudici della Corte hanno stabilito all'unaminità che durante il blitz alla Diaz è stato violato l'articolo 3 della Convenzione di Diritti dell'Uomo: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
All'origine del procedimento c'è un ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, che quella notte era nella scuola Diaz durante il blitz della polizia, nel quale furono fermati 93 attivisti e più di sessanta rimasero feriti, di cui due in maniera grave. Cestaro è rappresentato dagli avvocati Nicolò e Natalia Paoletti, Joachim Lau e Dario Rossi. L'Italia dovrà pagare a Cestaro un risarcimento di 45mila euro.
Marco Doria, sindaco di Genova, ha così commentato.
«La sentenza della Corte di Strasburgo riconosce la tragica realtà delle violenze perpetrate alla Diaz e mette a nudo la responsabilità di una legislazione che non prevede il reato di tortura e per questa ragione lascia sostanzialmente impuniti i colpevoli».
«È una sentenza di grande valore, non solo da rispettare, ma da condividere pienamente. La Città di Genova, che è stato teatro di quelle violenze, la accoglie come fatto di verità e di giustizia e ne sottolinea l'importanza come richiamo e indicazione per la democrazia».
«Uno stato democratico non può ignorare il reato di tortura e non deve mai tollerare che uomini che agiscono in suo nome compiano atti di brutale violenza contro le persone e i diritti dell'uomo. È questa una condizione essenziale anche per difendere la dignità di quanti operano invece negli apparati dello stato secondo i principi della Costituzione».