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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Valentina Bocchino

Giornalista GenovaToday

Ponte Morandi: a Genova non serve retorica, bensì giustizia

Solo l’accertamento delle responsabilità e i provvedimenti conseguenti ristabiliranno un rapporto di fiducia dello Stato con i cittadini, non attraverso le parole ma con atti di giustizia

Quattordici agosto 2018, sembrava una mattina come tante, con una pioggia che cadeva furiosamente sulla città. A un certo punto, poco dopo le 11,36, la valanga di messaggi dei lettori che segnalavano che "era successo qualcosa al ponte", che “era crollato il ponte”.

L'incredulità.

Crollato il ponte Morandi? “Magari intendono dire che sono caduti dei calcinacci”. Neanche i soccorsi sapevano ancora dire esattamente cos'era successo, si stavano muovendo tutti per andare sul posto dopo aver ricevuto centinaia di chiamate all'improvviso.

Crollato? Impossibile anche solo da immaginare.

Pochi secondi dopo, la ricezione di un video che mostrava la scena, quello che ha fatto il giro del web, in cui un uomo filmava e gridava: "Oh Dio! Oh Dio!", mentre il Morandi si sbriciolava come fosse stato di pasta frolla, portandosi dietro la vita di 43 vittime.

Crollato.

Lo spaesamento. Ma come, crollato?

Soprattutto per un genovese, prima ancora del senso dell'enorme tragedia, in quei primi momenti forse è stata forte la sensazione di vivere una cosa "surreale", scollata dalla realtà, incomprensibile: ma come, crollato?

La giustizia ha un compito importantissimo: dircelo, come è crollato. Gli occhi di Genova e dell’Italia sono puntati sul processo iniziato a luglio: tutti abbiamo diritto di sapere perché questo sia successo e di chi siano le responsabilità. Questo serve per ricostruire un senso di comunità e sì, come diceva Egle Possetti, portavoce del comitato parenti vittime, anche del nostro Stato.

“È l’ultima chance che abbiamo. Se non verrà fatta giustizia, come nazione non abbiamo futuro” ha detto Possetti il 7 luglio. Sempre le sue dichiarazioni di questa mattina sono macigni e ci coinvolgono tutti: “Abbiamo sperato, dopo questa vergogna immensa, che potesse emergere un sentimento di rivalsa che facesse tremare la mediocrità imperante che ci ha permeati in lunghi anni e per tante altre tragedie, ma non abbiamo percepito nessun tremore, nessuno sconvolgimento. Solo un po' di indignazione che via via viene accolta da una coltre di nebbia profonda, che lascia intravedere la tragedia solo a tratti, solo nelle parole e raramente nei fatti”.

Dopo quattro anni ci si lecca le ferite ascoltando le parole delle istituzioni alle commemorazioni, che pure servono per mantenere la memoria, ma di fatto manca ancora una verità su quello che è successo e la tragedia rimane al momento senza colpevoli. Di più: colpiscono le parole di molte delle parti civili, alla prima udienza del processo, che si aspettavano di vedere più partecipazione e solidarietà dal vivo e sul posto, invece poco o niente anche da parte delle istituzioni. Soli di nuovo, anche con la crisi di governo, perché come sottolineava Possetti dovranno ricominciare da capo con la presentazione del loro disegno di legge al futuro parlamento eletto.

E allora a che serve incontrarsi una volta all’anno, ricchi di cordoglio e di buone intenzioni? La domanda è provocatoria: serve a ricordare, certo. Ma anche a ribadire, una volta in più, che Genova adesso non ha bisogno di retorica, bensì di una giustizia che avvenga in tempi accettabili. Perché solo l’accertamento delle responsabilità e i provvedimenti conseguenti ristabiliranno un rapporto di fiducia dello Stato con i cittadini, non attraverso le parole ma con atti di giustizia.

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