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Venerdì, 19 Aprile 2024

Luca Pastorino

Giornalista Genova Today

"Che maglia vorresti per Natale? Quella di Mihajlovic". Ciao Sinisa, mito d'infanzia

Hai dimostrato al mondo che chi lotta può perdere, mentre chi non lotta ha già perso

"Se dovessi scegliere una maglia, quale vorresti? Quella di Montella?”. “No papà, quella di Mihajlovic”. Natale era vicino, tempo di regali e sogni, tra il crepuscolo dell'infanzia e l'alba dell'adolescenza. Il mese è novembre, o forse dicembre, l'anno il 1997 (anche se a memoria, dopo tanti anni, avrei detto 1996, una rapida verifica sul modello di maglia utilizzato quell'anno ha fugato ogni dubbio). Nel giro di qualche settimana avrei trovato sotto l'albero la mia prima maglia della Sampdoria. Originale. Ne avevo già avute, ma erano quelle del mercato, 10mila lire, in acrilico, qualche imperfezione, ma già un lusso per giocare in piazzetta a Begato.

Scarti il pacco il 25 dicembre e trovi proprio lei, la numero 11 di Sinisa, in una versione unica, quella del cinquantenario della Sampdoria. Davanti il bianco e il blù dell'Andrea Doria e dietro il rosso e il nero della Sampierdarenese. Il blucerchiato? Nel colletto e nei polsini. Un modello più unico che raro, forse oggi dimenticato. Sicuramente elegante. La maglia del tuo idolo, quel difensore jugoslavo (all'epoca si chiamava ancora così) capace di disegnare parabole impossibili, punizioni come missili o come bombe, anche se il paragone, con una guerra ancora fresca, non è forse dei più felici. Ma il calcio è metafora, lo sappiamo. E lo accettiamo.

Delle partite in piazzetta e del torneo delle scuole medie quella maglia porta ancora i segni, probabilmente per un collezionista sarebbe rovinata, ma tanto non la cederei per nulla al mondo. Non ha prezzo. Sinisa e le sue bombe, Sinisa e la sua forza, Sinisa e la sua grinta, Sinisa che abbraccia Boskov. Sinisa che se ne va e dopo un anno retrocediamo, Sinisa che trova anche la tripletta, contro di noi. Lacrime, tristezza, l'enigma della Serie B. Troppo, soprattutto per noi che siamo nati negli anni dei grandi trionfi. Ma il rispetto rimane. E la casacca anche, nell'armadio dei ricordi, come una reliquia. Passano gli anni, siamo adulti, ed ecco ancora Sinisa, che rimette la chiesa al centro del villaggio, e firma quella vecchia maglia. Stupito. Ma anche grato.

E poi gli ultimi flash. Tristezza per la notizia della malattia. Gioia per rivederti lottare dentro e fuori dal campo. Infine l'ultimo atto. Il fulmine a ciel sereno. Sinisa non ce l'ha fatta, è morto. La devi scrivere sul giornale, lo fai in maniera asettica, racconti chi è stato e cosa dice di lui chi l'ha conosciuto. Ma senti il bisogno di scrivere qualcosa di diverso. E allora eccoci qui, è quasi un flusso di coscienza, scritto di getto, per ricordare il mito d'infanzia. Ciao Sinisa, hai dimostrato al mondo che chi lotta può perdere, mentre chi non lotta ha già perso. Grazie. Di cuore.

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