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Sabato, 20 Aprile 2024
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Più povere e meno istruite: «La Liguria non è una regione a misura di bambine»

L'Atlante di Save the Children contiene un'analisi approfondita sulla situazione di bambini e adolescenti nella nostra regione: le femmine risultano, senza sorprese, molto più penalizzate dei maschi

La Liguria non è una regione “a misura di bambino”, ancor meno “a misura di bambine”: l’analisi arriva da Save the Children in occasione della Giornata mondiale per l’Infanzia, dati che evidenziano come in Liguria una ragazza su 5 non studia, non lavora e non segue nessun percorso formativo.

«Bambine e ragazze che in Italia pagano sulla loro pelle disuguaglianze di genere sistematiche e ben radicate nella nostra società - spiegano da Save the Children - che si formano già nella prima infanzia, che le lasciano indietro rispetto ai coetanei maschi e che, con la pandemia, sono deflagrate».

I dati arrivano dall’Atlante dell’infanzia a rischio “Con gli occhi delle bambine”, che mostra anche una fotografia nazionale: in Italia sono circa 1 milione e 140 mila le ragazze tra i 15 e i 29 anni che rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione. Una situazione in cui in Liguria si trova già il 19,6% delle ragazze, contro il 16% dei coetanei maschi. Percentuali ben lontane dai picchi che si avvicinano al 40% in Sicilia e in Calabria, ma distanti anche da quelle dei territori più virtuosi, come il Trentino Alto Adige, dove le ragazze Neet sono il 14,6% (comunque quasi il doppio rispetto ai ragazzi, 7,7%).

Divari di genere che a livello nazionale si ripercuotono anche sul fronte occupazionale, con un tasso di mancata occupazione tra le 15-34enni che raggiunge il 33% contro il 27,2% dei giovani maschi, un dato comunque grave. L’istruzione resta un fattore “protettivo” per il futuro delle ragazze, ma anche le giovani che conseguono la laurea stanno pagando cara la crisi: tra le neolaureate che in Italia hanno conseguito il titolo di primo livello nei primi sei mesi del 2019, solo il 62,4% ha trovato lavoro, con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2019, mentre per i laureati maschi – pur penalizzati – il calo è di 8 punti (dal 77,2% al 69,1%), con retribuzioni comunque superiori del 19% rispetto alle neolaureate.

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Povertà: in Liguria il 22,2% rientra in quella relativa

In Liguria, il 22,2% dei minori vive in condizioni di povertà relativa, un dato in linea con la media nazionale che si attesta al 22% e soprattutto di regioni come la Calabria (42,4%) e la Sicilia (40,1%) che si trovano ai primi posti di questa triste classifica. La Liguria appare ad ogni modo lontana dai territori più virtuosi, quali il Trentino Alto Adige (8,3%) e la Toscana (9,8%) che presentano le percentuali più basse di minori in povertà relativa.  

Già prima della pandemia, 1 milione 137 mila minori (l’11,4% del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Un dato in calo rispetto al 12,6% del 2018, ma che tuttavia rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19, se non saranno messi subito in campo interventi organici per prevenire una crescita esponenziale come quella avvenuta a seguito della crisi economica del 2008, quando la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1% nel 2007).

Anche dal punto di vista demografico i dati mostrano che l’Italia in generale non sembra un paese a misura di bambino. Calano i nuovi nati, e negli ultimi dieci anni sono stati persi circa 385mila minori, che oggi rappresentano il 16% del totale della popolazione mentre l’incidenza degli 0-14enni è la più bassa tra i Paesi dell’Ue (13,2% contro il 20,5% della capofila Irlanda). Le quattro province liguri si attestano tutte sotto la media nazionale, con una percentuale di popolazione under18 del 13,5% circa. 

Solo nel 2019 in Liguria le nuove nascite hanno superato di poco quota 8.700, e a fine 2020, nell’anno della pandemia, secondo le ultime previsioni dell’Istat l’Italia potrebbe conoscere una ulteriore riduzione di 12 mila unità, portando le nuove nascite a quota 408mila a fine anno e a 393mila nel 2021.  A ridurre il brusco calo, solo l’incidenza dei minori con cittadinanza straniera, che oggi in Italia sono l’11% del totale, con percentuali di poco superiori in Liguria che si attestano intorno al 13% nelle province di Genova, Savona e La Spezia per salire al 17,3% a Imperia, mentre quelle più elevate si registrano a Prato (28,4%), Piacenza (22,2%) e Parma (19,5). Un esercito di bambine e bambini spesso nati e cresciuti in Italia, che reclamano i loro diritti di cittadinanza.

Diseguaglianze e povertà educativa di genere: in Liguria solo il 15,7% dei bimbi agli asili pubblici

Al calo delle nascite si affianca l’aumento della povertà educativa, conseguenza della crisi legata al covid-19: gli effetti della pandemia sull’educazione e l’istruzione si traducano in perdita di apprendimenti e competenze educative, incremento della dispersione scolastica e aumento del numero di giovani tagliati fuori da percorsi di studio, di formazione o lavorativi, tutti fenomeni già ben presenti prima dell’arrivo del virus.

Basti pensare alla possibilità di frequentare un asilo nido o un servizio per la prima infanzia, che in Liguria resta un privilegio per pochi: nell’anno scolastico 2018/2019 solo il 15,7% dei bambini aveva accesso a servizi pubblici offerti dai Comuni, un dato ad ogni modo migliore della media nazionale del 13,2%. In Calabria (3%), Campania (4,3%) e Sicilia (6,4%) le percentuali più basse a livello nazionale, mentre sul lato opposto della graduatoria troviamo la provincia autonoma di Trento al 28,4% e l’Emilia Romagna al 27,9%. Ache nel percorso di crescita, gli indicatori di povertà educativa confermano una situazione difficile già prima dell’emergenza, anche se c’è da sottolineare come la Liguria faccia registrare risultati di gran lunga migliori rispetto alla media del Paese: nella regione più di 1 giovane su 10 (10,1%) abbandona la scuola prima del tempo, al di sotto della media nazionale che segna un tasso di dispersione scolastica del 13,5%; inoltre, in Liguria, il 17,7% dei giovani rientra nell’esercito dei NEET, cioè di coloro che non studiano, non lavorano e non investono nella formazione professionale, molto meglio dello scenario a livello nazionale che fa registrare una percentuale media del 22,2%.

 Anche al di fuori della scuola, le opportunità di crescita culturale, emozionale, creativa, di svago e di movimento che possono permettere ai bambini e agli adolescenti di sviluppare pienamente la propria personalità sembravano essere molto basse già prima dell’arrivo del virus: nel 2018-2019, in Liguria più di 1 minore su 3 tra i 6 e i 17 anni non leggeva neanche un libro extrascolastico all’anno (un dato non troppo lontano dal 48% a livello nazionale), mentre il 15,1% dei bambini o adolescenti tra i 3 e i 17 anni non praticava alcuna attività sportiva, un po’ meglio, anche in questo caso, della media nazionale del 22,4%, quasi 1 su 4.

Gli effetti della pandemia sul futuro dei minori rischiano di essere ancor più pesanti sulle bambine e sulle ragazze, che già scontano in prima persona un gap con i coetanei maschi che affonda le proprie radici proprio nell’infanzia. Un divario di genere, alimentato da diseguaglianze sistematiche e ampiamente diffuse in Italia, che non accenna a ridursi, nonostante bambine e ragazze siano più brave dei loro coetanei a scuola, abbiano meno bocciature e abbandoni scolastici, si mostrino più resilienti e cooperative, abbiano competenze maggiori in lettura e in italiano e arrivino a laurearsi molto più dei ragazzi.

Sfogliando le oltre 100 mappe e infografiche dell’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, emerge ad esempio che tra i minori tra i 6 ei 17 anni le bambine e le ragazze leggono più dei maschi (non ha l’abitudine alla lettura il 53,6% dei maschi contro il 41,8% delle ragazze); con percentuali molto alte soprattutto al nord-est (14,1%) e al nord-ovest (10,4%). Ancora, le ragazze hanno performance scolastiche migliori dei coetanei: se, tra i maschi, più di 1 su 4 (26,1%) non raggiunge le competenze sufficienti in matematica e in italiano, questa percentuale si abbassa al 22,1% per le ragazze. In Liguria, le ragazze sono in linea con la media nazionale nelle province di Imperia (22,7%) e La Spezia ((22,2%), ma fanno meglio in quelle di Genova e Savona (18,6%), e sono comunque più preparate dei coetanei maschi che si attestano intorno al 21% a Savona e Genova ma raggiungono il 24,9% a La Spezia e il 27,5% a Imperia.   

L’istruzione rappresenta il principale fattore protettivo per le giovani all’ingresso nel mondo del lavoro e il fallimento formativo le espone ad un futuro lavorativo irto di difficoltà e di rischi. Una percezione che spinge a studiare fino ad ottenere una laurea un terzo delle giovani in Italia, a fronte di solo un quinto dei giovani maschi, uno dei gap più ampi d’Europa: tra le 30-34enni il 34% è laureata, mentre tra i 30-34enni maschi lo è solo il 22%.

Impegno, tenacia e dedizione allo studio sembrano non bastare: nonostante i migliori risultati durante il loro percorso, gli ostacoli e gli svantaggi attendono le giovani al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. In generale, infatti, il nostro Paese detiene uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa. Nel 2019, il tasso di occupazione delle giovani laureate tra i 30 e i 34 anni era del 76% contro l’83,4% dei maschi, mentre tra le giovani diplomate senza la laurea le occupate erano solo il 56,7% a fronte dell’80,9% dei coetanei maschi. Senza un diploma di scuola superiore, le occupate sono un esiguo 36,3%, a fronte del 70,7% dei coetanei maschi.

 Persino nel mondo accademico, i divari di genere sono ancora forti: basti pensare che nel 2018 le donne rappresentavano il 55,4% degli iscritti ai corsi di laurea, il 57,1% dei laureati, il 50,5% dei dottori di ricerca. Ma pur essendo maggioranza nei percorsi di formazione universitaria, restano delle Cenerentole nella carriera accademica, sin quasi a scomparire ai vertici. Nel 2018, le donne rappresentano il 50,1% degli assegnisti di ricerca, il 46,8% dei ricercatori universitari, il 38,4% dei professori associati, il 23,7% dei professori ordinari.  Le donne rettrici, in Italia, sono 7 su 84. Eccolo il famoso “soffitto di cristallo”, “la barriera invisibile che impedisce alle donne di accedere alle posizioni apicali per ostacoli spesso difficili da individuare”.

“« dati dell’Atlante mettono in evidenza la nascita dell’”illusione della parità” delle bambine e delle ragazze, che a scuola godono di una condizione di parità con i coetanei, anzi sono più brillanti nella lettura così come nelle performance scolastiche - spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children - Ma le aspettative si infrangono al primo confronto con il mondo del lavoro. E alcuni segnali si registrano già nei primi anni di scuola, ad esempio con il progressivo allontanamento delle bambine dalle materie scientifiche. Servono interventi mirati, quali piani formativi e doti educative, per promuovere tra le bambine e le ragazze – a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati – l’acquisizione di fiducia nelle proprie capacità in tutti i settori. Anche nella matematica, le scienze, l’ingegneria e le tecnologie digitali».

 Le bambine e le ragazze accumulano durante il loro percorso scolastico delle lacune nelle materie scientifiche, già ravvisabili dal secondo anno della scuola primaria, ma che crescono via via: ad esempio a livello nazionale le bambine alla fine della primaria ottengono un punteggio medio ai test Invalsi di matematica di 4,5 punti inferiore rispetto ai coetanei, uno svantaggio che sale a -6 punti al 2° anno delle superiori, fino a -10 punti all’ultimo anno delle scuole superiori. Una differenza, a sfavore delle ragazze, che in media nelle provincie di Genova e Savona sale a -7 punti e si attesta a -5,5 punti a Imperia e La Spezia.

 Questa elevata ‘specializzazione’ di genere nell’ambito delle competenze scolastiche si riverbera poi nella scelta dell’indirizzo di studio, che rafforza queste differenze, e di conseguenza della facoltà universitaria. Secondo i dati forniti a Save the Children dal Miur relativi al 2019, in Italia tra i diplomati nei licei i ragazzi sono più presenti in quelli scientifici (il 26% di tutti i diplomati, rispetto al 19% delle diplomate) mentre le ragazze sono più presenti nei licei umanistici-artistici (il 42% di tutte le diplomate, solo il 13% dei diplomati). Guardando i dati della Liguria, per esempio, poco più di 1 ragazza su 4 (27,7%) si diploma al liceo classico o scientifico, e solo il 17,3% si diploma in un istituto tecnico.

 Quando si iscrivono all’università, inoltre, poche giovani in Italia scelgono le facoltà in ambito scientifico-tecnologico (STEM): solo il 16,5% delle giovani laureate tra i 25 e i 34 anni ha conseguito il titolo in questo settore, a fronte di una percentuale più che doppia (37%) per i maschi. Un percorso che conduce alla segregazione orizzontale nel lavoro e nelle carriere, nei settori più innovativi (STEM e ICT).

 Nel mondo del lavoro, poi, le persistenti forme di discriminazione verso le donne fanno deragliare le prospettive di molte ragazze determinando un gap ancora significativo nelle percentuali di NEET tra i generi, che vedono più ragazze ai margini di ogni progetto per il loro futuro. In Italia, le giovani in questa condizione sono il 24,3%, contro il 20,2% dei maschi, rischiando entro la fine dell’anno di toccare quota 1 milione e 140 mila e raggiungere così i livelli del 2016. In Liguria le giovani neet sono invece il 19,6%, contro il 16% dei coetanei maschi. Sicilia e la Calabria (rispettivamente al 39,9 e al 36,2%) le regioni con più giovani ragazze ai margini; Trentino Alto Adige e Veneto le più virtuose (14,6% e 15,6%). Una situazione che – in base ai dati sul mercato del lavoro degli ultimi mesi – è peggiorata per la crisi seguita all’emergenza Covid-19.

 «Senza un intervento tempestivo e mirato, oggi rischiamo un’impennata nel numero delle Neet, cancellando le aspettative di futuro di più di un milione di ragazze in Italia. È un rischio concreto, se solo si guardano i dati più recenti, come il calo del 2,7% dell’occupazione femminile – già storicamente tanto fragile in Italia - rispetto all’anno precedente, con una perdita secca di 264mila occupate - conclude Milano - La mancanza di servizi per la prima infanzia e la necessità di prendersi cura dei bambini in questa fase difficile sta inoltre pregiudicando il futuro lavorativo delle mamme. Occorre invertire la rotta, per non doverci svegliare dalla pandemia in un mondo del lavoro tutto al maschile, con l’effetto di scoraggiare le ragazze che sono oggi impegnate in un percorso educativo già ricco di ostacoli. E’ necessario partire dalle donne – e dalle bambine – non solo a parole, ma con investimenti e obiettivi precisi che riguardino il mondo del lavoro così come i servizi per la prima infanzia, i percorsi educativi all’interno delle scuole così come il contrasto ad ogni forma di violenza di genere e il sostegno al protagonismo delle stesse ragazze».

Neet: acronimo di “Not in Education, Employment or Training", indica persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione

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