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Il robot umanoide (e italiano) che aiuta i bambini autistici

A crearlo l'Iit e l'Opera Don Orione di Genova. Per la prima volta al mondo un automa è integrato in un contesto clinico

Nel 2020, in Italia, sono nati 435mila bambini: di questi, più di 4mila potrebbero ricevere una diagnosi di autismo nei primi anni di vita. Fino a qualche anno fa sarebbero stati vittime dello stigma sociale e dell’isolamento. “La diagnostica di autismo, e quindi la relativa terapia, sono materie di studio molto giovani” spiega Tiziana Priolo, neuropsichiatra infantile dell’Opera Don Orione di Genova. “Fino a quindici-vent’anni fa non esistevano, o esistevano in forma molto embrionale e con poche possibilità di effettiva cura”.

Ma le tecniche mediche e psicologiche si sono evolute nel tempo, e oggi una diagnosi di disturbo dello spettro autistico arriva molto presto, nei primi due anni di vita dei giovani pazienti. Una di queste tecniche è quella innovativa usata proprio all’Opera Don Orione, nel Centro Boggiano Pico: un robot umanoide iCub che si interfaccia con i bambini autistici e gioca con loro, aiutandoli a sviluppare capacità cognitive e comportamentali che noi diamo per scontate. Il team di ricercatori che ha sviluppato il macchinario fa parte dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT): è la prima volta al mondo di un robot umanoide sperimentato in campo clinico. “È una prima assoluta, e siamo molto soddisfatti”, spiega Davide Ghiglino, dell’IIT. “Questo per noi ricercatori è il primo passo di una strada lunga ma entusiasmante, che mette la robotica al servizio dei professionisti medici e clinici”. Ma come un robot umanoide può aiutare bambini autistici?

“Ogni bambino è un paziente a se stante, e la terapia è studiata a seconda del suo profilo” spiega la dottoressa Priolo. “Certo è che ci sono tratti in comune negli aspetti che riguardano la diagnostica e quindi la cura”. La neuropsichiatra spiega che i bambini autistici sperimentano problematiche relazionali: hanno difficoltà nel comprendere e acquisire comportamenti non verbali, come condividere lo sguardo o il sorriso, leggere il sottotesto implicito di quello che diciamo, capire le emozioni e richiamare l’attenzione dell’interlocutore su un oggetto o un concetto che per loro è importante. La difficoltà è anche quella di cogliere la prospettiva spaziale degli altri. Le problematiche sono anche comunicative: per bambini e adulti autistici è difficile attenersi a un dialogo normale fatto di scambio di informazoni e di argomenti che cambiano. “Riassumendo una malattia molto complessa, possiamo dire che l’autistico non riesce a mettersi nei panni dell’altro” spiega ancora Priolo. “E a questo possono aggiungersi altri disturbi più o meno comuni: ipersensorialità, difficoltà motorie, bassi livelli cognitivi o stereotipie motorie, cioè movimenti ripetitivi degli arti o del busto”. Una patologia che, se non seguita e curata nel modo corretto, può essere molto impegnativa: sono 600mila le persone interessate dall’autismo in Italia, e altrettante le famiglie.

Nel pratico, il robot aiuta i pazienti a capire il punto di vista spaziale dell’altro: il bambino siede di fronte a iCub, che ha in mano un cubo: sulla faccia del cubo visibile al bambino c’è il disegno di un topo, su quella visibile al robot una balena. Al bambino, che ha in mano un cubo identico e vede solo il simbolo del roditore, verrà chiesto cosa vede il robot. Girando, esplorando e giocando con il cubo che ha in mano, il bambino sarà in grado di mettersi nei panni del suo interlocutore e dare la risposta esatta. E tutto questo avendo davanti un robot con fattezze umane, ma che di umano non ha lo sguardo o il sorriso, e con cui quindi il bambino autistico sarà più facilmente in grado di interagire.

“Capirete anche voi quanto è rivoluzionario l’uso di un robot iCub in un contesto reale, fuori dai laboratori” dice Ghiglino. Di questo macchinario umanoide esistono altri 42 esemplari, sparsi soprattutto in Europa, “ma questo è l’unico usato in un contesto ecologico, cioè nel mondo vero”. Sono circa 50 i piccoli pazienti che hanno partecipato alla fase iniziale della sperimentazione col robot al Don Orione di Genova, che si è conclusa a giugno. “La robotica, intesa come strumento del professionista e non come suo sostitutivo, potrebbe essere usata in tantissimi modi” spiega il ricercatore. “Ci sono studi su robot umanoidi che aiutano i pazienti anziani affetti da demenza a mantenere un contatto più saldo sulla realtà”.

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