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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Il ritorno in mare due tartarughe salvate dall'Acquario: "In 29 anni abbiamo curato 150 esemplari"

Una tartaruga marina ha avuto bisogno di tre anni di cura: "L'abbiamo trovata con le pinne anteriori completamente tagliate da un cavo di plastica, era moribonda". L'altra ha ingerito materiale plastico ed era ricoverata da ottobre

È un lieto fine quello di Lela e Tita, due tartarughe marine della specie Caretta Caretta che oggi, giovedì 26 maggio, sono state liberate in mare dopo le cure dell'Acquario di Genova, struttura che opera su questo fronte da 29 anni e ha già salvato circa 150 esemplari, quasi tutti restituiti al loro habitat naturale.

Lela viene dalla Toscana e ha avuto bisogno di tre anni di cure nella struttura genovese: "Siamo molto orgogliosi di averla recuperata - spiega a GenovaToday Laura Castellano, curatrice del settore Mediterraneo e Rettili dell'Acquario di Genova - era moribonda, entrambi gli arti anteriori e la gola erano intrappolati da una fune a cui erano legate numerose bottiglie di plastica vuote (probabilmente erano i galleggianti di un palangaro). Liberata da alcuni volontari del Wwf era stata trasferita grazie alla Capitaneria di Porto di Piombino all’Acquario di Livorno dove lo staff medico-veterinario aveva riscontrato delle profonde lacerazioni su ambo le articolazioni scapolo omerali. Presentava anche una cicatrice all’occhio destro che le occludeva completamente il bulbo oculare".

Oggi ha recuperato sia gli occhi sia gli arti e pesa 44 chili (contro i 20 al momento del recupero): "L'abbiamo sottoposta a trattamenti di magnetoterapia e fisioterapia giornaliera, dunque può tornare in mare".

Video: la liberazione in mare delle due tartarughe

L'altra tartaruga, Tita, è stata trovata a ottobre al largo di Portofino da un diportista insieme ai suoi bambini: "Si sono molto affezionati a questo animale - conclude Castellano - e sono molto contenti che torni in mare. Aveva un'occlusione gastroenterica dovuta a tanti materiali plastici ingeriti, che ha lentamente rilasciato. Noi abbiamo curato la gastroenterite che aveva e adesso può tornare in mare anche lei".

Il rilascio nelle acque al largo di Portofino

Il rilascio è avvenuto nelle acque al largo del promontorio di Portofino dove sono state trasportate a bordo delle unità navali della guardia costiera di Genova. Alle due tartarughe è stato inserito un microchip che permetterà di identificarli in caso di eventuali altri ritrovamenti.

L’operazione di rilascio è stata eseguita dallo staff acquariologico e medico veterinario dell’Acquario di Genova in accordo con i carabinieri, servizio Cites (che coordinano a livello nazionale l’applicazione della Convenzione di Washington che tutela questi animali), e in collaborazione con la guardia costiera, nell’ambito delle attività previste dal Protocollo d’intesa vigente tra la Direzione Marittima e l'Acquario che ha l’obiettivo di definire e gestire i principi di intervento in caso di segnalazione, avvistamento o ritrovamento di esemplari di fauna marina feriti o in difficoltà

L'Acquario di Genova agisce in collaborazione con la guardia costiera, da contattare al ritrovamento di tartarughe in difficoltà in mare o a terra: il numero da chiamare è il 1530, attivo 24 ore al giorno. Tutte le informazioni vengono poi passate ai veterinari dell'Acquario che decidono se è il caso di ricoverare gli animali. "Abbiamo una convenzione con l'Acquario - conferma Felice Monetti, Comandante e responsabile relazioni esterne della guardia costiera di Genova - per attivare il coordinamento del recupero in mare o sul litorale, e poi per trasportare gli animali alla struttura. Spesso il trasporto avviene anche con la collaborazione delle altre autorità tra cui i carabinieri forestali. Per i mammiferi marini ma anche per i rettili come le tartarughe ci occupiamo anche del monitoraggio in mare, della tutela e del rapporto da fare al Ministero".

Palamiti, reti e sacchetti di plastica tra i peggiori nemici delle tartarughe marine

Diverse sono le cause che portano al ricovero degli animali. Tra le principali: interferenze con le attività di pesca, principalmente dovute ai palamiti (è frequente la presenza di ami nella cavità boccale o nel tratto digerente, spesso evidenziato dal filo di nylon che fuoriesce ai margini della bocca) o alle reti (possono causare ferite, mutilazioni e, nel peggiore dei casi, il soffocamento degli animali); ingestione di corpi estranei, quali ad esempio sacchetti di plastica scambiati per meduse che fanno parte della dieta naturale di questi rettili; impatto con imbarcazioni a motore, che arrecano traumi e ferite sul carapace o sul capo, a volte letali; patologie debilitanti che provocano lo spiaggiamento dell’animale; sversamenti o presenza di petrolio.

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