
L'appello della giovane dottoressa neoabilitata: «Pronta a fare il mio dovere, ma dopo non buttateci via»
Roberta Rissotto ha 25 anni e da venerdì l'Ordine dei Medici di Genova ha iscritto il suo nome nell'albo: insieme con altri 149 colleghi, può di fatto esercitare. Ma la paura per il futuro è grande, più di quella per il coronavirus
Con l’abilitazione straordinaria, Roberta e i suoi 149 colleghi possono partecipare ai bandi emergenziali della protezione civile, a quelli delle varie aziende sanitarie che cercano medici a tempo determinato della durata di 6 mesi. Può, insomma, «scendere in trincea, andare a combattere il virus, come in tanti dicono in questo periodo - spiega Roberta - Eppure ho un buco in pancia, dovuto alla paura. E non alla paura del virus o alla paura della morte, alla paura del futuro, mio e dei miei colleghi».
Il pensiero di Roberta, come quella di moltissimi altri giovani (e non solo), va inevitabilmente al periodo successivo all’emergenza, quello in cui si faranno i conti non solo con le conseguenze che il virus ha avuto sull’economia, ma anche su questioni irrisolte che l’epidemia ha soltanto lasciato in sospeso, e che torneranno a farsi vive, con ancor più veemenza, una volta sconfitto: «A emergenza finita sarò di nuovo disoccupata - è lo sfogo di Roberta - E da disoccupata parteciperò a un test, quello di accesso alle scuole di specializzazione, insieme, presumibilmente, ad altri 22.500 colleghi, medici come me, laureati da più o meno tempo, e saremo lì in varie sedi d'Italia a scannarci a colpi di crocette per 8.500 borse di specializzazione».
«Oggi che la carenza di specialisti è sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vorrebbe vederla, 8.500 è un numero che sembra ancora più ridicolo di quanto già non fosse per noi "del settore” - continua la giovane dottoressa - perché anche chi ha delle conoscenze di matematica basilari si rende conto che, con questa cifra, circa 14 mila medici resteranno senza lavoro, e saranno costretti a partecipare a bandi trimestrali di continuità assistenziale, a dedicarsi ad altro o a emigrare in altri Paesi dove i medici sono Eroi ogni giorno, dove lo Stato dice ogni giorno loro grazie per quello che fanno, e non solo quando lavorano 20 ore al giorno in condizioni precarie durante una pandemia da quasi 10mila morti solo in Italia».
A oggi Roberta non ha ancora chiaro che cosa succederà nelle prossime settimane: «Per quanto mi piacerebbe aiutare, non possiedo le competenze per poter operare nei centri Covid in cui è richiesta una formazione specialistica avanzata - spiega - Eventualmente deciderò se applicare per il bando per le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziali. Al momento il mio obiettivo principale è studiare per superare il concorso delle specializzazioni mediche e proseguire con la mia formazione specialistica».
Roberta si dice comunque «pronta ad andare, ad accettare incarichi temporanei adesso che c'è bisogno di me», ma lancia un appello. Affinché lei e tutti gli altri come lei non vengano messi da parte una volta superate l’emergenza: «Vorrei tanto che anche lo Stato fosse pronto a darmi delle garanzie, pronto a dirmi che a fine emergenza non mi butterà via come una mascherina usata ma mi farà restare qui, nel mio paese, a fare il lavoro per il quale ho studiato e per il quale ho passato sei anni della mia vita sui libri, e lo faccia con un provvedimento semplice: aumentando i fondi per la sanità e rendendo il numero di borse della specializzazione proporzionale ai candidati, permettendoci di continuare il nostro percorso di formazione qui.
Noi siamo disposti a spenderci, a spendere energie, risorse: spenda per noi anche lo Stato».