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Cura cancro, la ricerca di UniGe: la risposta immunoterapica dipende dai geni

Pubblicata su Immunity (CellPress) la ricerca del professor Davide Bedognetti, che con un team di scienziati ha scoperto che l'immunità anticancro preesistente dipende fortemente dal background genetico dei pazienti

Potenziare il sistema immunitario per trattare il cancro: la scoperta ha rivoluzionato il modo in cui la malattia viene affrontata, perché può indurre una remissione duratura in alcuni pazienti con tumore avanzato e, in alcuni casi, eliminare completamente il tumore.

Solo una minoranza di pazienti risponde però con successo a questo trattamento, e ciò che non è ancora chiaro è perché solo alcuni pazienti sviluppino l’immunità anticancro spontanea, ma parziale, che li rende più propensi a rispondere all'immunoterapia. E su questa domanda si è concentrato il professore Davide Bedognetti dell’Università di Genova, autore di una ricerca pubblicata su Immunity, una delle principali riviste scientifiche al mondo.

Il team di scienziati guidato da Bedognetti, docente di medicina interna dell'Università di Genova e direttore del Cancer Program presso Sidra Medicine in Doha – Qatar), e da Elad Ziv, docente di medicina presso la University of California, si è posto una domanda: la risposta immunitaria al cancro è legata alla genetica, come accade per diabete e pressione alta? Lo studio è servito a dimostrare che sì, l'immunità anticancro preesistente dipende fortemente dal background genetico dei pazienti.

Alcune varianti genetiche possono dunque anche influenzare il modo in cui il sistema immunitario combatte i tumori. In particolare, gli autori hanno scoperto che una variazione considerevole dell'infiltrazione immunitaria nel tumore è influenzata dai geni del soggetto e hanno identificato i geni e le varianti chiave responsabili di questo fenomeno. Tra questi, ci sono i geni della via dell'interferone, un meccanismo che viene attivato anche durante la risposta antivirale e, in modo aberrante, in alcune malattie autoimmuni.

Il team ha identificato varianti in 22 regioni del genoma con effetti immunomodulatori, incluse varianti del gene IFIH1, che sono state precedentemente associate a malattie autoimmuni; varianti che predispongono al diabete mellito di tipo 1, per esempio, si associano a un tumore più immunogenico. Altre varianti importanti sono state identificate nel gene Sting, responsabile della produzione di interferone, una molecola con attività antivirale e antitumorale. Il team ha scoperto che alcune persone hanno una variante che li rendi incapaci di attivare pienamente la via dell’interferone, il che potrebbe portare a un'ulteriore stratificazione dei pazienti per sapere chi potrebbe trarre maggior beneficio da terapie innovative, ad esempio usando agonisti di STING, che sono attualmente in studio.

La ricerca ha richiesto l’analisi di un'enorme quantità di dati relativi a pazienti, con tumori, arruolati dal Cancer Genome Atlas (TCGA). Sono state analizzate le informazioni genetiche e fenotipiche relative a 9.000 pazienti con 30 diversi tipi di cancro. Il team scientifico internazionale composto da immunologi, oncologi, genetisti e bioinfomatici ha esaminato quasi 11 milioni di varianti geniche e valutato la loro correlazione con 139 parametri immunitari derivati da complesse analisi genomiche effettuate sui campioni tumorali.

I passi successivi della ricerca porteranno a creare punteggi immunogenetici (polygenic risk score) per individuare i pazienti con maggiore probabilità di rispondere all’immunoterapia e a comprendere appieno il meccanismo d'azione dei nuovi geni per sviluppare terapie personalizzate più efficaci: «Siamo ancora all’inizio - ha detto Bedognetti - ma questo è quello che speriamo di ottenere».

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