Salome, l'opera "scandalosa" al Carlo Felice
Il 9 dicembre 1905, all’Hofoper di Dresda, la prima della Salome di Richard Strauss fu uno scandalo. Basata sul testo francese di Oscar Wilde tradotto in tedesco da H. Lachmann, l’opera (in un solo atto) sconvolse pubblico e critica per la violenza della vicenda e la sensualità sfrenata della musica.
Ciò che accadeva in scena, del resto, non poteva lasciare indifferenti: un profeta cristiano, Jochanaan, desiderato ardentemente da Salome, figliastra di un re pagano, Erode, al punto di chiederne la testa da baciare davanti all’impossibilità di un’unione reale. E come se non bastasse, la “danza dei sette veli”, la scena più audace che si fosse mai vista fino a quel momento su un palcoscenico operistico.
Ma in realtà Salome è molto di più di un’opera per épater le bourgeois: è una tragedia psicoanalitica, che anticipa gli incubi dell’espressionismo e, con essi, gli orrori del ’900 più buio. Oltre che il punto culminante di un processo di “sinfonizzazione” dell’opera (l’orchestra che diventa protagonista insieme ai cantanti, con le tecniche dei singoli strumenti e delle combinazioni d’insieme spinte all’estremo) iniziato con il Tristano di Wagner.
Al Carlo Felice il capolavoro di Strauss va in scena con la regia di Rosetta Cucchi, le scene di Tiziano Santi e i costumi di Claudia Pernigotti: un team che, dopo aver lavorato recentemente sulla Salomè “minore” del compositore francese Antoine Mariotte, contemporanea di quella di Strauss, si misura ora con la Salome “maggiore”, con cui molti identificano l’inizio del teatro musicale novecentesco.