"La pazza della porta accanto", omaggio ad Alda Merini di Claudio Fava con la regia di Alessandro Gassmann
Un omaggio ad Alda Merini, “la poetessa dei Navigli”, donna dalla straordinaria parabola artistica e umana, i cui versi sono sottesi da una forte componente mistica. Ma anche un testo di denuncia civile contro il trattamento nei manicomi italiani prima del 1978, data della riforma Basaglia.
L’appassionata storia d’amore tra Alda Merini (1931-2009), poetessa complessa e dal carattere malinconico, e un giovane paziente dell’ospedale psichiatrico nel quale anche lei era ricoverata.
Caratterizzata da una scrittura vibrante e asciutta, la drammaturgia di Claudio Fava scorre senza interruzione, lasciando che le citazioni dei versi originali della Merini diventino materia incandescente e viva di un’esistenza duramente provata, e nello stesso tempo siano testimonianza di un’autentica genialità poetica. La pazza della porta accanto sonda gli abissi di una mente abitata da fantasmi, racconta il suo rapporto con i compagni di degenza, ma dà anche forma teatrale alla sua nostalgia per la famiglia e per le figlie, rivela il suo senso profondo della maternità, la fede religiosa, la capacità di resistere alla cattività forzata del manicomio, l’aspirazione profonda alla libertà del corpo e della mente.
«Conoscevo Claudio Fava, la sua storia, la sua sensibilità, il suo impegno politico e sociale; conoscevo la storia del padre Giuseppe, vittima della mafia, una delle piaghe più dilanianti del nostro paese - annota Alessandro Gassmann, qui in veste solo di regista - conoscevo anche Alda Merini, la drammaticità della sua esistenza; anch’io, come tanti, mi sono emozionato e commosso nel sentirla leggere i suoi appassionati versi. Dopo aver letto il testo di Claudio, ritratto giovanile, intimo e struggente della grande poetessa, ho avvertito immediatamente la necessità, direi l’urgenza, di metterlo in scena. Un testo che si sviluppa all’interno di un ospedale psichiatrico e che ripercorre la drammatica esperienza della Merini. Erano gli anni in cui la parola “depressione” non si conosceva e chi soffriva di questa malattia veniva definito pazzo. Erano anche gli anni in cui negli ospedali psichiatrici praticavano l’elettroshock e i bagni nell’acqua gelata. È in questa particolare dimensione alienante che la protagonista si trova a condividere le giornate con le altre malate alle quali offre spontaneamente i suoi versi, ma soprattutto è il luogo dove nasce un’appassionante storia d’amore fra lei e un giovane paziente».