"Faust's Box", il mito rivisitato al Duse
Il mito di Faust rivisitato, attraverso un “viaggio transdisciplinare”, da un’opera da camera contemporanea affidata alla voce di una cantante di colore cresciuta alla scuola di Bob Wilson. Il sogno di felicità del protagonista di Goethe, ora condannato alla ricerca della propria voce.
Organizzato in tredici scene - nel corso delle quali si aprono, uno dopo l’altro, i cassetti della memoria (l’infanzia, l’amore, il solipsismo, il potere, il denaro, ecc.) e delle illusioni di potervi trovare finalmente la felicità - lo spettacolo ha come protagonista la cantante statunitense Helga Davis (già nota al pubblico genovese per essere stata, sempre per la regia di Liberovici, l’interprete di Operetta in nero) e per la sua collaborazione con Philipp Glass e con il regista Robert Wilson, che qui presta la propria voce all’ombra di Faust.
Il Faust, come Goethe stesso l’ha definito, è un opera “incommensurabile”, al centro della quale c’è l’uomo. Faust appunto: un uomo che nel suo continuo interrogare se stesso, interroga di fatto anche tutta l’umanità contemporanea. Le grandi rivoluzioni della modernità e della tecnologia hanno certamente mutato in meglio le condizioni di vita, ma per paradosso hanno prodotto una società d’individui soli. Il racconto di Faust’s Box inizia da questa condizione. Un essere vivente, solo, continuamente sollecitato da un presente oscuro ma di assordante e prepotente “luminosità”, compie il suo “viaggio immobile” con se stesso e attraverso se stesso davanti a un grande specchio.
Faust’s Box è un’opera da camera contemporanea, una tragedia/commedia dell’ego e dell’immaginazione perché ogni cambiamento sociale gli è precluso dalla solitudine e l’unica mutazione possibile è quella del suo sguardo: da se stesso, molto faustianamente, agli altri. Mutazione che diventa esplicita alla fine, quando Faust nello specchio vedrà il pubblico oltre al suo riflesso, e capirà.