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Cultura

Il reperto della Tavola bronzea di Polcevera: la storia del diritto romano passa per Genova

Sono 46 righe ritenute importantissime per la storia locale, ma anche per quella del diritto, dell'epigrafia e della linguistica

Al Museo Civico di Archeologia Ligure di Pegli, tra gli altri reperti, è conservata la Tavola bronzea di Polcevera, detta anche "Sententia Minuciorum".

Forse non tutti la conoscono, ma si tratta di un reperto molto interessante: è una lamina di bronzo sulla quale è incisa una sentenza emessa dal Senato romano nel 117 avanti Cristo. In tutto 46 righe ritenute importantissime per la storia locale, ma anche per quella del diritto, dell'epigrafia e della linguistica.

Cosa stabilisce la tavola?

Ma cosa c'è scritto sulla Tavola bronzea di Polcevera? La lamina riporta la sentenza che due magistrati romani - i fratelli Minuci Rufi (da qui il nome in latino del documento) - pronunciarono su una questione di confini che divideva gli abitanti di Genova e quelli dell'Alta Val Polcevera. I valpolceveraschi, chiamati Viturii Langenses, a causa dell'incremento della popolazione e la necessità di ulteriori guadagni, volevano cercare di trasferire i loro insediamenti più a valle, entrando però in conflitto con i genovesi. Questa controversia sfociò più volte nella violenza, e siccome la vallata era di vitale importanza per i romani, poiché collegava Genova alla Pianura Padana, vennero addirittura inviati in loco i due magistrati per risolvere la situazione. Con la sentenza, vennero ridefiniti i confini.

Il ritrovamento e il rischio della distruzione

Il reperto rimase nascosto per secoli, e venne trovato solo nel 1506 da un contadino di Serra Riccò nel letto del torrente Pernacco. Probabilmente non rendendosi conto dell'importanza del ritrovamento, l'uomo vendette la lamina di bronzo a un calderaio genovese, per fonderla: per fortuna, finì prima sotto gli occhi del vescovo e storico Agostino Giustiniani, che insistette perché la Repubblica di Genova acquistasse la tavola, salvandola dalla distruzione.

Il reperto, successivamente, venne a lungo custodito nella cattedrale di San Lorenzo, poi nel palazzo dei Padri del Comune, al Ducale, a Tursi, e infine al museo di Pegli.

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