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Cronaca

«Io sono mafia», il biglietto da visita degli usurai arrestati

A dare il via all'indagine è stata la vittima. In manette sono finiti due soggetti, già coinvolti in processi a carico di personaggi legati alla criminalità organizzata

Questa mattina i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Genova hanno dato esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del tribunale di Genova su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della locale Procura nei confronti di due persone, ritenute responsabili del delitto di usura aggravata dallo stato di bisogno della vittima.

L'indagine era stata avviata nel dicembre scorso a seguito della denuncia sporta dalla vittima presso la Procura della Repubblica di Genova e affidata ai carabinieri del Ros, ravvisandosi i presupposti dei delitti di estorsione e usura aggravata dal metodo mafioso. Il presunto autore delle condotte era infatti il pregiudicato Giuseppe 'Pino' Abbisso, già emerso in una precedente vicenda processuale per i medesimi reati; nello specifico l'uomo, insieme a Onofrio Garcea (tuttora imputato per articolo 416 bis del codice penale nel processo Maglio 3), nel 2010 era stato destinatario di una misura di custodia nel quadro dell'indagine 'Finanziamento sicuro' dei carabinieri del Ros e poi condannato definitivamente per il delitto di usura, finendo di scontare la pena nel corso del 2016.

Le indagini, coordinate dal pm Federico Manotti della Dda di Genova, sviluppate tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018 hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza non solo nei confronti del menzionato soggetto ma anche di Rino Satriano, accusato di concorso in usura per il suo ruolo di intermediazione.

Le condizioni del prestito usurario comportavano: la corresponsione dell'importo richiesto in tre tranches, ad alcuni giorni di distanza l'una dall'altra; la restituzione della somma comprendente, oltre al capitale e agli interessi (20% mensili), anche denaro destinato a estinguere un autonomo debito contratto da Rino Satriano con lo stesso Giuseppe Abbisso; la consegna di un assegno già sottoscritto dalla vittima e maggiorato del 20% (pari agli interessi da corrispondere mensilmente) e di una quota del debito dello stesso Rino Satriano.

Per sollecitare i pagamenti illeciti, il principale indagato aveva paventato alla vittima di avvalersi di esponenti della criminalità organizzata, sia di origine siciliana che calabrese, operante nel capoluogo ligure e anzi si proponeva come appartenente alla criminalità mafiosa («io sono mafia»), vantando rapporti con esponenti di Cosa Nostra nissena.

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