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Cronaca

Ponte Morandi, ecco come la camorra poteva infiltrarsi nel cantiere

Arrestati Ferdinando Varlese, 65 anni, volto noto alle forze dell'ordine per la sua vicinanza al clan D’Amico del Rione Villa di Napoli, e la consuocera, cui era intestata la Tecnodem

«Le cifre che gravitano intorno al cantiere del ponte Morandi sono molto alte e possono fare gola, ma essendo un cantiere molto “pubblicizzato” anche i controlli sono molto alti. Eppure, i tentativi di infiltrazione mafiose ci sono ugualmente». 

A parlare è il colonnello Mario Mettifogo, dirigente della Dia, che ha coordinato un’operazione che martedì mattina ha portato all’arresto di due persone, Ferdinando Varlese, 65 anni, e la consuocera Consiglia Marigliano. Sulla carta rispettivamente dipendente e titolare della Tecnodem Srl, azienda specializzata in demolizione di materiale ferroso, per la procura di Genova in realtà vero titolare e semplice “prestanome” sfruttata per ottenere un sub-appalto nell’ambito della demolizione del Morandi nascondendo la vicinanza di Varlese al clan camorristico D’Amico del Rione Villa di Napoli.

A maggio l'interdittiva antimafia e l'estromissione dai lavori

Per la Tecnodem era già scattata un’interdittiva antimafia lo scorso maggio: a distanza di un mese, il gip Paola Faggioni ha firmato due ordinanze di custodia cautelare, una in carcere per Varlese, una ai domiciliari per Marigliano, per intestazione fittizia di beni aggravata dalla finalità di agevolare l’attività della camorra. Per la Procura, insomma, Varlese avrebbe intestato il 100% delle quote alla consuocera per mascherare presunti legami con la criminalità organizzata. 

Alla Tecnodem erano stati affidati da Omini - capofila dell’associazione temporanea di imprese che si occupa della demolizione - lavori in subappalto del valore di circa 100mila euro, un investimento fortemente voluto dai demolitori per l’alta specializzazione dei dipendenti. Anche Varlese figurava come dipendente dell’azienda, e per due volte ha avuto accesso al cantiere Morandi con il pass visitatori: proprio queste visite hanno arrivato i controlli approfonditi della Dia, che hanno portato prima all’interdittiva e alla conseguente estromissione dai lavori, e poi ai due arresti e a una serie di perquisizioni e sequestri preventivi di beni e conti tra Genova e Napoli, sede dell’azienda.

Una prestanome per nascondere presunti legami con la camorra

«Varlese aveva già partecipato ad altri appalti, tra cui uno per la dismissione della centrale nucleare di Caorso - ha chiarito Mettifogo - L’azienda era piuttosto attiva nel mercato, e parte del personale di questa azienda era ricercato per le competenze specifiche che possedeva: era una ditta effettiva, che svolgeva effettivamente lavori, ma veniva celata la proprietà. A capo c’era una persona non competente in materia ma di fatto senza alcun tipo di precedente o eventuale legame con la criminalità organizzata, consuocera di Varlese, che aveva superato i primi controlli e aveva consentito l’affidamento dei lavori in subappalto».

Intestando a Marigliano la società, Varlese, secondo la procura, avrebbe evitato di farla finire sulla “black list” delle aziende a rischio infiltrazione mafiosa. E dalle indagini è emerso che nel ricevere l’interdittiva di maggio, il 65enne si era già attivato con parenti e amici per formare un’altra società e aggirare così il provvedimento, in modo da continuare a operare. In concomitanza con l’emissione delle ordinanze di custodia cautelare, la procura ha anche chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto in parallelo, sempre nei confronti di Varlese, sulla possibilità che la Omini fosse stata vittima di tentativi di estorsione e intimidazione per ottenere il lavoro.

Tra le condanne riportate da Varlese, emerge la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Napoli nel 1986 per associazione a delinquere: tra i coimputati vi erano affiliati al clan «Misso-Mazzarella-Sarno», già appartenente all'organizzazione camorristica denominata «Nuova Famiglia», i cui boss erano Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. Altra sentenza rilevante, per la Dia, quella della Corte d'appello di Napoli del 2006 per estorsione tentata in concorso, con l'aggravante di aver commesso il fatto con modalità mafiose, da cui si evincono in maniera circostanziata i legami di Varlese con il sodalizio camorristico D'Amico, cui risulta legato da rapporti di parentela.

Cozzi: «I controlli funzionano»

«Non sono emersi elementi in questo senso», ha detto il procuratore capo Francesco Cozzi, che ha anche sottolineato come i controlli effettuati sino a oggi sul cantiere abbiano funzionato: «La procedura di nomina e gestione dei lavori da parte del commissario ha innovato - ha chiarito - non ha eliminato procedure di controllo, ma ne ha posticipato gli effetti: per evitare ritardi e blocchi, è previsto che il controllo antimafia sia fatto anche dopo che sono stati assegnati i lavori, con gli effetti si verificano ugualmente. È una cosa quasi da manuale, che funziona se funzionano i controlli».

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