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Cronaca

Timori e speranze per le orche "genovesi", porto in continuo monitoraggio

Nel pomeriggio di venerdì sono state viste uscire dal porto, la speranza è che si stessero allontanando. Ma sono rientrate: l'esperto spiega cosa è successo in questi giorni

Sembravano essersi allontanate nel pomeriggio di venerdì, ma si è trattato di una breve assenza: le orche restano nei pressi del porto di Pra'-Voltri, in un quinto giorno di speranze, timori e apprensione. La notizia dell'allontanamento, condivisa da Ugo de Cresi , osservatore naturalista tra i primi a tracciare la rotta del pod e al centro di una vasta rete di monitoraggio, e da Whalewatch, era arrivata nel pomeriggio di venerdì, riaccendendo le speranze sulle sorti del pod dopo la notizia della probabile morte del piccolo. Ma nel tardo pomeriggio le pinne sono state nuovamente viste in rada: «Si sono allontanate alle 15.15 circa - confermano da Whalewatch - purtroppo intorno alle 17 sono rientrate». 

Uno degli ultimi video, girato su un’imbarcazione di Whalewatch venerdì nella tarda mattinata, le mostrava intorno alle 13 sempre vicino al bacino portuale di Pra’-Voltri, le pinne dorsali nere che si vedono spuntare dalle onde nel fazzoletto di mare in cui si aggirano ormai da cinque giorni. E dall'iniziale meraviglia per l'avvistamento straordinario di un gruppo di orche nel mar ligure, così vicine alla costa, in tanti sono passati al dispiacere nel realizzare che quella che si stava consumando nelle acque del porto era in realtà una tragedia nel mondo animale, con conseguenti domande legate alle modalità di gestione della situazione.

Allo sguardo di un profano, nell'ultimo video, le orche sembrano due, ma è ormai stato accertato che il pod di orche arrivato nel mar Ligure lo scorso 30 novembre, e avvistato per la prima volta il 2 dicembre, è composto da almeno 5 esemplari, un maschio adulto, altri due di cui ancora non è stato possibile determinare il sesso, e poi loro: la mamma e il suo piccolo, che con tutta probabilità è ormai morto.

I timori di molti esperti e appassionati si sono concretizzati ieri, quando la morte del piccolo è stata data probabile al 99% alla luce dei comportamenti della mamma - che lo trascina portandolo in superficie sul muso, come per cercare di farlo respirare - e dall’assenza di soffio dallo sfiatatoio. I monitoraggi, però, sono sempre effettuati dalla superficie: nessuna sonda o videocamera è stata ancora utilizzata per filmare il gruppo di cetacei sott’acqua e raccogliere dati che potrebbero preziosi per spiegare anche la loro presenza così inusuale, oltre che il comportamento anomalo. E in molti si sono domandati perché. Guido Gnone, coordinatore scientifico dell’Acquario di Genova, in mare da lunedì insieme con Whalewatch e Capitaneria di Porto, ha provato a spiegarlo.

«Le condizioni del mare in questi giorni non sono favorevoli, l’acqua è torbida e la visibilità scarsa, anche se nelle ultime ore è un po’ migliorata - ha detto a GenovaToday - Bisogna comunque tenere bene a mente che le orche sono animali molto grossi, e predatori. Non tendono ad attaccare l’uomo, ma stanno vivendo un forte stress anche emotivo e potrebbero reagire a influenze esterne. Al momento possiamo fotografarli, in modo da incrociare i dati con altri ricercatori che li studiano, cercare di capire da dove arrivano, tracciarne rotta e, sul lungo termine, le abitudini. L’abbiamo già fatto in passato, e siamo riusciti a ricostruire il viaggio di questo gruppo, appartenente alla colonia di Gibilterra».

Orche in porto a Genova, storia di un avvistamento straordinario

Il pod, stando ai “tag” (la localizzazione tramite avvistamenti) delle ultime settimane, sarebbe partito da Gibilterra, si sarebbe avvicinato alle Baleari e poi diretto verso la Sardegna, risalendo poi verso la Liguria. E non è chiaro, adesso, cosa deciderà di fare, anche alla luce del comportamento così anomalo. Il piccolo è con tutta probabilità morto, e si discute ancora della presenza di un altro piccolo, già morto, avvistato soltanto dal pescatore che per primo le ha viste in immersione: «Quest’uomo ha detto di avere visto due piccoli, e tendiamo a crederci, anche se non siamo ancora riusciti a trovarne traccia - conferma Gnone - Inizialmente è stato preso per un visionario, nessuno poteva credere alla presenza di orche nel mar Ligure. Invece aveva ragione, e potrebbe avere ragione anche sulla presenza di un secondo piccolo».

Il fatto che il pod stazioni davanti al bacino portuale da giorni, infatti, potrebbe dipendere non solo dalle condizioni di salute del piccolo avvistato, ma anche dalla morte di un altro piccolo, che spingerebbe il branco a restare nei paraggi. Le orche, infatti, hanno connessioni familiari fortissime, vivono normalmente in gruppi famigliari a struttura matriarcale composti da una femmina e da diverse generazioni da lei discendenti. Alcuni casi documentati in passato hanno dimostrato che l’attaccamento delle madri ai cuccioli è quasi morboso, ne è un esempio Talequah, la femmina che nel Pacifico portò con sé il suo piccolo morto per due settimane.

«Noi speriamo che il gruppo non resti, che si allontani spostandosi in mare aperto e tornando in acque a loro più familiari - è l’auspicio di Gnone - Questo comportamento è per noi difficile da spiegare e comprendere. Sicuramente una situazione di difficoltà potrebbe essere una delle cause, ma anche considerando questa situazione non è facile capire perché restino in uno spazio così piccolo e ristretto. Stiamo cercando di aumentare le osservazioni per capirne di più».

Orche in porto a Genova, era possibile salvare il piccolo?

Un valido aiuto potrebbe arrivare dall’idrofono, come suggerito anche da una serie di appassionati ed esperti naturalisti, tra cui anche Ugo de Cresi, tra i primi a ricostruire la rotta dei cetacei e a diffondere pubblicamente timori sulle condizioni del piccolo e in generale del pod: «Provare a registrare i suoni potrebbe essere utile - conferma ancora Gnone - È stato accertato che le orche comunicano con una serie di “dialetti” legati alle loro relazioni familiari, e le loro vocalizzazioni potrebbero aiutarci».

La speranza era quella di vedere le pinne nere allontanarsi verso il mare aperto il prima possibile, e dopo 5 giorni sembra essersi finalmente concretizzata. E a chi si chiedeva se sarebbe stato possibile salvare il piccolo, magari catturandolo, Gnogne risponde: «Non è possibile intervenire su animali così grandi in così poco tempo. Sono interventi estremamente complessi, che avrebbero bisogno di lunghi tempi di preparazione, e tutto è successo in pochi giorni. Queste situazioni colgono tutti impreparati».

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