Folla di alpini al funerale di Lodovico Portesine, reduce della campagna di Russia
L'alpino è mancato a 105 anni. Il figlio Paolo dal pulpito: “Ci ha lasciati senza paura, aveva ormai desiderio di lasciare questa vita”
Ha "posato lo zaino" a Genova, come si dice tra alpini, Lodovico Portesine, 104 anni, ultimo reduce della campagna italiana di Russia della seconda guerra mondiale. Nella mattinata di mercoledì 19 luglio i funerali, con il feretro che ha lasciato la chiesa di San Pio X, a Sturla, tra due ali di "penne nere" sull'attenti.
Sulle toccanti parole della preghiera dell’alpino, Portesine è stato accompagnato sul sagrato, diretto a Ciglione, nel Comune di Ponzone, dove si è unito ai suoi famigliari. A officiare la cerimonia don Matteo Pescetto, parroco di San Pio X, alla presenza dei parenti, dei militari dell’Associazione nazionale alpini e dell’Unione nazionale italiana reduci di Russia. In prima fila l’assessore comunale Paola Bordilli in rappresentanza della città.
“Papà due o tre giorni fa ha cominciato a stare poco bene – ha ricordato dal pulpito il figlio di Lodovico, Paolo Portesine – Mi ha detto: voglio morire. Io gli ho chiesto: non hai paura? E lui mi ha chiesto: hai presente quante persone ho visto morire?”. Paolo ha assicurato che Lodovico Portesine se ne è andato “senza nessuna paura. Ha deciso di morire, ormai lontano da tanti dei suoi affetti più cari, i suoi amici, i fratelli, tutte le persone con cui ha condiviso episodi della sua vita”. Non la malattia dunque, ma la decisione, cosciente, di congedarsi dalla vita.
E ancora: "Era un uomo di altri tempi, nato in un paesino in cui non c'era nemmeno la corrente elettrica dunque ha vissuto i primi anni con la candela. Adesso siamo arrivati ad Alexa. Per lui è stato un salto immenso. Grazie a tutti gli alpini che per lui sono stati un'iniezione formidabile di voglia di vivere, con progetti e iniziative".
“Lodovico, con la semplicità di questi nostri padri, non si è mai gloriato del bene fatto, perché per lui, per loro, era ovvio – ha detto nella sua omelia don Matteo Pescetto – Era una questione viscerale: non puoi non soccorrere il fratello che ha bisogno”.
Dopo i solenni saluti e la benedizione, gli addetti di Asef, azienda del Comune di Genova, hanno accompagnato il feretro a Ciglione, dove è stato tumulato nella cappella di famiglia.