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Cronaca

Il sottosegretario genovese Armando Siri indagato per corruzione

Nel 2012 candidato sindaco nel capoluogo ligure, è l'autore della proposta di legge sulla flat tax e nel governo Conte ricopre la carica di sottosegretario ai Trasporti

Il sottosegretario ai Trasporti della Lega Armando Siri, genovese, è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione dalla Procura di Roma. 

L’inchiesta in cui è coinvolto è nata a Palermo, e tocca anche Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia responsabile del programma della Lega sull’Ambiente: l’accusa rivolta a Siri, 47 anni, è di avere  ricevuto denaro per modificare un norma da inserire nel Def 2018 che avrebbe favorito l’erogazione di contributi per le imprese che operano nelle energie rinnovabili (norma che non è poi stata approvata). L’ipotesi investigativa è che Arata abbia fatto da tramite con Siri, e per l’ex parlamentare l’accusa è di concorso in corruzione.

Nell’inchiesta romana è coinvolto lo stesso Arata, che risponde di “concorso in corruzione”. Arata è al centro di un'altra indagine aperta dalla procura di Palermo, che rientra nel filone principale dell’inchiesta per corruzione e intestazione fittizia di beni: secondo i magistrati siciliani, Arata avrebbe fatto affari con l’imprenditore dell’eolico Vito Nicastri, tra i finanziatori della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Per i magistrati, però, Siri non sarebbe stato a conoscenza dei legami tra l’imprenditore mafioso e l’ex parlamentare.

Siri, 47 anni, nel 2012 è stato candidato a sindaco di Genova con la sua lista “Partito Italia Nuova”. Per il Carroccio è responsabile economico e della formazione del Movimento “Noi con Salvini”, ed è anche l’autore della proposta di legge per l’introduzione della Flat Tax. Candidato alle ultime elezioni politiche con la Lega al Senato, è stato eletto nel collegio dell’Emilia Romagna e attualmente ricopre la carica di sottosegretario del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Siri: «Non ne so nulla»

Interpellato sull'inchiesta dall'agenzia di stampa LaPresse, Siri ha sostenuto di «non saperne assolutamente nulla. Non ho idea di cosa siano tutte queste cose - avrebbe aggiunto - Cado dalle nuvole, non mi è stato notificato nulla, ma sono tranquillo, non mi sono mai occupato di queste cose».

Il vicepremier Di Maio: «Dovrebbe dimettersi»

Anche il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio, in mattinata a Roma per l'assemblea nazionale di Unioncamere, è intervenuto sulla questione, confermando che «ho appreso la notizia questa mattina come tutti. Per me è un fatto grave, non è il tema di un sottosegretario indagato, ma di una persona coinvolta in un’indagine per corruzione e fatti legati alla mafia - ha detto Di Maio - Lo dico chiaramente, ne parlerò anche alla Lega, ma se i fatti sono questi è chiaro che il sottosegretario Siri dovrebbe dimettersi dal governo, per una semplice ragione: siamo sempre stati quelli che si dichiaravano d’accordo con l’aspettare il terzo grado di giudizio, ma c’è una questione morale. 

«Se abbiamo un sottosegretario coinvolto in un’indagine così grave e importante - ha aggiunto Di Maio - che riguarda prestanome di Matteo Messina Denaro, è una questione morale e politica. Poi non so se Salvini sia d’accordo con la mia linea intransigente, ma il mio dovere è tutelare il governo e l’integrità delle istituzioni, e secondo me anche a Salvini conviene tutelare l’immagine e la reputazione Lega. Auguro al sottosegretario di risultare innocente, e nel caso saremo pronti a raccoglierlo al governo».

Toti: «Per Di Maio due pesi e due misure» 

Il governatore ligure di centrodestra Giovanni Toti, dal canto suo ha definito le parole di Di Maio «una visione surreale del diritto», ricordando che «per la Costituzione sarà un procuratore e un tribunale a dover dimostrare con tre gradi di giudizio la sua colpevolezza, un’avviso di garanzia è a tutela dell’indagato».

«La morale di Di Maio applica due pesi e due misure costantemente, una visione surreale del diritto, una visione ad personam, che per alcuni inverte l’onere della prova, mentre per la Raggi non chiede le dimissioni nonostante le numerose indagini che si sono abbattute sul Comune di Roma».

Quello per Siri, ha concluso Toti, «non è un preavviso di condanna, io sono garantista per l’amico Siri esattamente come lo sono per chiunque altro da quando sono nato, mi auguro semmai che i magistrati facciano in fretta, che si arrivi a una definizione della vicenda con chiarezza e che ciò di cui viene accusato non sia vero»

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