rotate-mobile
Cronaca

I genovesi all’estero: «Ecco come viviamo l’emergenza coronavirus»

Da Barcellona a Tallinn, passando per Valencia, Londra, Copenhagen e Charleroi: le testimonianze di chi vive e lavora in giro per l'Europa in piena emergenza Covid-19

L'Europa dell'Erasmus e del mercato globale si trova ad affrontare l'emergenza coronavirus e tanti sono gli italiani, e ovviamente anche i genovesi, emigrati all'estero per motivi di studio o lavoro negli ultimi anni. Da quando il nostro Paese è diventato uno dei più colpiti al mondo dal Covid-19 le autorità di diversi Stati hanno chiuso le frontiere ai nostri connazionali. Ma come sarà cambiata la vita dei nostri emigrati? Abbiamo raccolto alcune testimonianze tra Belgio, Danimarca, Estonia, Spagna e Inghilterra per capire se i nostri connazionali, oggi, si sentano discriminati, ma anche come altri Paesi europei abbiano deciso di affrontare l'emergenza e infine come i cittadini, ma sopratutto i media di questi Paesi europei stiano vivendo e raccontando l'emergenza in Italia.

Salvatore, cuoco a Charleroi: «Pochi controlli in Belgio» 

Il nostro viaggio parte dal Belgio, dal paese di Nivelles nei pressi di Charleroi. Qui vive e lavora Salvatore, 35enne di origini palermitane che ha studiato a Genova, dove si è laureato in scienze politiche. Si è trasferito in Belgio da qualche anno e lavora come cuoco in un ristorante italiano. Proprio nei giorni precedenti allo scoppio dell'emergenza era tornato a Genova per una breve vacanza, e racconta: «Ho preso un aereo da Charleroi a Pisa venerdì 20 febbraio e poi mi sono spostato a Genova, anche se l'emergenza non era ancora scoppiata del tutto nell'aeroporto toscano mi hanno controllato la temperatura con il termoscanner, cosa che non era stata fatta invece in Belgio. Tra sabato e domenica sono stati presi i primi provvedimenti da parte del governo e io sono tornato a casa, mi ha colpito molto il fatto di non essere stato ricontrollato all'aeroporto di Charleroi».

La comunità italiana in Belgio è molto numerosa ed è radicata da ormai 50 anni, come spiega ancora Salvatore, che racconta come, nelle ultime settimane, il comportamento dei Belgi nei suoi confronti non sia cambiato: «Non mi sono sentito “discriminato”, ma credo sarebbe impossibile in questo Paese considerando la storia delle migrazioni italiane verso il Belgio, soprattutto nella regione della Vallonia dove vivo io e a Charleroi dove ci sono molte famiglie italiane, ma anche discendenti di coloro che erano partiti per lavorare nelle miniere nel Dopoguerra. Non escludo che in altre zone dell'Europa la situazione possa essere diversa. Ho notato invece, soprattutto negli ultimi giorni, una crescita della paura da parte della popolazione Belga, nell'ultimo fine settimana abbiamo avuto un crollo delle prenotazioni nel nostro ristorante. La gente ha paura non perché siamo italiani, ma perché pensa che il governo stia sottovalutando la situazione e non stia prendendo adeguate contromisure».

«Governo criticato, Italia presa come esempio»

Passando alla situazione politica Salvatore critica infatti l'atteggiamento delle autorità del Belgio: «Anche a me sembra che qui sia stato sottovalutato il problema, almeno nei primi giorni di crisi. Non essendo stati effettuati controlli negli aeroporti il virus è arrivato anche in Belgio perché molte persone sono rientrate dalle vacanze nelle località sciistiche italiane o da Venezia dove si era svolto il Carnevale. Nonostante questo non sono state adottate le misure necessarie a partire dal termoscanner. Solo successivamente, ma in maniera tardiva, il governo ha raccomandato, ma senza legiferare in merito, di evitare i viaggi in Italia. Per il resto gli eventi proseguono normalmente, così come il campionato di calcio con i tifosi allo stadio. Nelle ultime settimane è anche andato in scena il Carnevale con migliaia di persone che hanno affollato le maggiori città del Paese. I contagi sono però aumentati in maniera esponenziale negli ultimi giorni: I casi, inoltre, potrebbero essere molti di più perché solo una struttura in tutto il Paese, a Leuven, è in grado di fare le analisi sui tamponi. Il popolo belga rimprovera al Ministro della Sanità la mancanza di tempismo mentre gran parte della stampa prende come esempio proprio l'Italia, criticando lo scarso decisionismo del proprio governo. Anche per quello che riguarda le scuole tanti in Belgio spingono per la chiusura, ma al momento rimangono aperte lasciando che siano i genitori a scegliere se mandare o meno i propri figli alle lezioni».

Stefano, Barcellona: «Qualche battuta dai colleghi, ma situazione tranquilla»

Dal Belgio ci spostiamo in Spagna, dove vivono da qualche anno con i due figli Stefano e Alessia , lui cosentino e lei genovese. La situazione a Barcellona sembra molto più serena rispetto al Belgio: «Non si percepisce una situazione così grave come quella italiana - racconta Stefano, impiegato di 36 anni -, hanno rinviato la maratona di Barcellona, ma nel quotidiano per noi è cambiato poco o nulla. Se mi sono sentito discriminato in quanto italiano? Direi di no, solo qualche battuta da parte dei colleghi di lavoro. Non ho trovato invece grosse differenze dal punto di vista della comunicazione mediatica. Giornali e tv qui in in Catalogna scrivono e raccontano praticamente le stesse cose dei principali media italiani».

Claudio, Erasmus a Valencia: «Nessuna tutela per noi studenti»

Rimaniamo in Spagna, ma spostiamoci a Valencia dove in questo periodo vive Claudio, studente Erasmus di scienze politiche, critico nei confronti delle scelte del governo: «Trovo assurdo che le autorità non abbiano preso provvedimenti. Anche qui ci sono casi legati al Copvid-19 ma a noi studenti è stato detto che, senza frequenza alle lezioni, non potremo sostenere gli esami. Credo che anche la nostra università italiana debba prendere provvedimenti in questo senso per tutelare noi studenti che ci troviamo all'estero».

Stefano, Londra: «Per la Bbc siamo il covo del Coronavirus»

Stefano, 29 anni, si è invece trasferito a Londra da poco più di un anno e si occupa di comunicazione sportiva. Se nel quotidiano la situazione non sembra cambiata, quello che sembra diverso è l'atteggiamento dei media nei confronti dell'Italia: «La metropolitana è sempre piena e non ho mai visto persone con mascherine in giro per Londra. In ufficio però hanno aggiunto disinfettanti e prodotti per incentivare la pulizia personale, invitando a seguire alcune norme di comportamento. Chi è stato in Italia nell'ultimo mese, infine, è stato invitato a mettersi in quarantena. Personalmente non mi sono sentito “discriminato” ma un collega italiano che vive qui da più tempo mi ha detto che l'atteggiamento dei londinesi nei suoi confronti è cambiato. Quello che ho invece notato è il diverso approccio dei media. Ogni giorno la Bbc apre con le notizie dall'Italia sul coronavirus, il nostro Paese viene presentato come il covo principale del Covid-19. In Inghilterra invece risultano circa 200 infettati, presentati come numeri molto bassi, ma secondo me sono stati fatti pochi controlli e la situazione potrebbe essere stata sottovalutata dalle autorità».

Paola & Giordano, Copenhagen: «Abbiamo visto l'escalation sui giornali danesi»

Abbiamo poi raccolto le testimonianze di Paola e Giordano, coppia genovese che vive a Milano e che nei primi giorni di marzo ha viaggiato a Copenhagen. «Siamo partiti il 3 marzo e l'aeroporto di Malpensa era praticamente deserto, mentre nel nostro aereo erano occupati meno del 20% dei posti. Non siamo stati controllati alla partenza e nemmeno all'arrivo, però la ragazza che ci ha affittato una stanza si era raccomandata di seguire le norme di igiene sul lavaggio delle mani per essere più tranquilla durante la nostra permanenza. Al nostro ritorno il 6 marzo, invece, siamo stati controllati con il termoscanner al nostro rientro a Malpensa anche perché proprio in quei giorni la situazione in Italia era peggiorata e il governo aveva emanato un nuovo decreto. Il primo giorno in Danimarca il coronavirus non era sulle prime pagine dei giornali, ma proprio nei giorni successivi è diventato l'argomento principale anche sui media danesi, perché nel frattempo erano cresciuti i casi. Abbiamo parlato della situazione con una guida italiana all'interno di un museo e con la ragazza che ci ha ospitati e, secondo loro, il governo danese sta sottovalutando la situazione. Durante il nostro soggiorno non abbiamo percepito diffidenza nei nostri confronti in quanto italiani, solo in un'occasione, in metropolitana, un passeggero si è coperto la bocca con una sciarpa quando ci ha sentito parlare in italiano. Noi ora siamo a Milano e rimarremo qui se chiuderanno tutta la zona rossa, anche per spirito civico. Non torneremo a Genova fino a quando la situazione non sarà migliorata».

Andy, Tallinn: «Il governo ha sconsigliato i viaggi in Italia»

Il nostro viaggio si conclude con la testimonianza di Andy, 35enne che fa la spola tra Genova e Tallinn per motivi di lavoro. Si trovava in Estonia proprio nei giorni in cui la situazione è esplosa in Italia, come racconta: «Ero arrivato, partendo da Malpensa, il 19 febbraio, poi la situazione è degenerata tra il 21 e il 22 del mese. Il governo estone ha subito sconsigliato i viaggi in Italia e ha vietato il ritorno a scuola per gli studenti che hanno viaggiato in Italia, Cina, Iran e Corea. Per gli adulti invece ha consigliato l'auto quarantena. Ci sono stati comunque alcuni casi, probabilmente alimentati da alcune persone che erano arrivate da Bergamo. La situazione in città era però abbastanza tranquilla, anche se nelle farmacie sono andati esauriti in pochi giorni i gel per disinfettare le mani. Al mio ritorno, nei primi giorni di marzo, sono stato controllato con il termoscanner a Milano, cosa che non era invece avvenuta in Estonia e nemmeno a Stoccolma dove avevo fatto scalo».

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

I genovesi all’estero: «Ecco come viviamo l’emergenza coronavirus»

GenovaToday è in caricamento