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Cima alla genovese. Il piatto di Natale misterioso cantato da De André

Nasce come piatto umile diventato nel tempo nobile e circondato da un magico alone, quasi stregonesco, tanto da diventare il protagonista del tradizionale menu natalizio

Storicamente, nelle case liguri, preparare la cima – 'Â çímma – ha sempre rappresentato un artificioso modo di impiegare scarti e avanzi delle pietanze servite i giorni precedenti; oggi è diventato un raffinatissimo piatto richiesto in trattorie e sciamadde di tutto il capoluogo ligure da qualsiasi genere di avventore. Dagli ingredienti che casualmente venivano trovati in cucina ad un’attenta selezione di prodotti sempre più particolari, la cima si è perfezionata nel tempo richiedendo sempre più accuratezza e perizia nella propria realizzazione.

Una portata che non si sa che portata sia

Inclassificabile tra le portate, la cima può essere un appetitoso antipasto o un appagante secondo piatto; a base di carne di vitello, viene riempita con un ventaglio di ingredienti che spaziano dal quinto quarto alle verdure. Piatto estivo o invernale è sempre presente durante le festività natalizie, servito a temperatura ambiente in fette con uno spessore variabile tra il centimetro e il centimetro e mezzo.
La cima alla genovese de Il Genovese con i tortellini in brodo

La cima alla genovese: gli ingredienti

La cima presenta un procedimento di preparazione molto lungo e laborioso che inizia fin dal banco del macellaio; si richiede infatti la realizzazione di una tasca di carne cucita minuziosamente su due lati accoppiando due fettine di vitello. Altrettanto impegnativo è l’approvvigionamento degli ingredienti per la realizzazione della farcia, divisi tra una parte vegetale e una parte animale: non possono mancare quindi carote, piselli ed erbette né animelle, cervella, midollo e testicoli. Uova, Parmigiano, mollica di pane, maggiorana e prezzemolo amalgamano il tutto per un ripieno di tipica impronta ligure.
 

I punti critici nella creazione della cima

Passaggio cruciale è la chiusura della tasca, legata e cucita a mano sartorialmente: il fagotto non deve essere troppo tirato per non scoppiare in cottura, ma non deve essere troppo vuoto o cucito largo per evitare che il ripieno fuoriesca facendo perdere la tradizionale geometria della fetta e concretizzare il rischio di buttare all’aria ore e ore di duro lavoro. Il segreto è riempire la tasca poco più della metà in modo tale da permettere al ripieno di gonfiarsi e di “tirare” i lembi di carne cuciti tradizionalmente con un lungo ago da materassi.
 

Fabrizio De André paragona la cima ad un morbido e gonfio cuscino ed introduce la catarsi del battesimo come metafora sacrale della tasca tuffata nell’acqua di cottura; per diverse ore, infatti la cima cuoce nel prebuggiùn, una boquet estremamente saporito di erbe e spezie cotte in acqua molto indicate per insaporire la pietanza. La cima è cotta avvolta in un fazzoletto di stoffa, e durante l’ebollizione va punta delicatamente per favorire una corretta cottura interna del ripieno e la fuoriuscita dell’aria formatasi le operazioni di durante la farcitura; una volta tolta dall’acqua, si lascia riposare la sacca con un peso sopra tanto da ottenere la classica sezione bassa ed allungata.
 

La cima alla genovese contro le streghe

La cima è un piatto tanto particolare quanto saporito e memorabile, sorprendente non solo nel gusto ma anche nei miti e nelle leggende che la avvolgono. Bisogna infatti alzarsi presto alle prime luci del mattino per assicurarsi un ottimo risultato e, per evitare che la cima scoppi, si dice che una scopa dev’essere posizionata con la paglia verso l’altro sotto la cappa, cosicché se malauguratamente una strega scivolasse in cucina, nel tempo di contare i filamenti di saggina la cima sarebbe già cotta e cucita senza che lei se ne accorgesse.

Il malocchio e il piatto nella canzone di De André

Questi riti contro il malocchio, le insolite gestualità e le preghiere affinché tutti i diavoli escano dalla pentola di cottura sono splendidamente affrescate da Fabrizio de Andrè nell’omonima canzone 'Â çímma contenuta nell’album Le Nuvole (1990). Il cantautore genovese, sul finale celebra l’arrivo della pietanza sul tavolo sintetizzando l’essenza di questo incredibile piatto, spesso preparato magistralmente da umili ma esperte mani, ma abitualmente mangiato da persone abbienti, con l’augurio che quest’ultime si possano, prima o poi, strozzare.

Poi vegnan a pigiàtela i câmé
Te lascian tûttu ou fûmmu d'ou toêu mesté
Tucca a ou fantin à prima coutelà
Mangè mangè nu séi chi ve mangià

Dove mangiare la cima fuori da casa

“Poi vengono a prenderla i camerieri, ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere. Tocca allo scapolo la prima coltellata. Mangiate, mangiate non sapete chi vi mangerà…” canta De Andrè. Per questo la cima è un must casalingo del periodo di Natale, vero e proprio simbolo di festa e convivialità, la si può trovare anche in molte trattorie e rosticcerie del centro, fino ad alcuni banchi del Mercato Orientale (Via XX Settembre 75r). Non sempre presente in carta, ma di grande esecuzione può essere proposta da Sà Pesta (Via dei Giustiniani 16r), Macelleria Nico (Via dei Macelli di Soziglia), Il Genovese (Via Galata 35r), Cavour Modo 21 (Piazza Cavour 21r).

La cima alla genovese di Sa Pesta

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