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La storia di Giulia e l'incubo della bulimia: «Le parole hanno un peso, non tutti sono forti»

La genovese Giulia Menegotti racconta la sua storia in un post su Instagram raccogliendo centinaia di like e commenti di incoraggiamento

Adesso sorride, la 30enne genovese Giulia Menegotti: nelle foto mostra i suoi tatuaggi, le giornate con il suo compagno (con cui sta in queste settimane sta vivendo la quarantena), il suo cane, le vacanze dei mesi passati, una normalità riconquistata e sudata.

Ma non sempre è stato così, e la ragazza ha raccontato la sua dolorosa storia e il rapporto con la bulimia in un post su Instagram che nel giro di poche ore ha raccolto centinaia di like e decine di commenti di incoraggiamento, e che ha deciso di condividere anche con GenovaToday. Lanciando un appello finale: «Le parole hanno un peso, prima di parlare pensate che le persone non sono poi così forti, e che potreste segnarle per sempre». Una frase che sembra una boccata d'aria fresca soprattutto in tempi di violenza verbale, insulti e offese (spesso a sfondo sessista) sui social.

La bulimia e il ricovero in ospedale

Il suo calvario inizia a 16 anni, un'età cruciale: «Ho iniziato ad ammalarmi di bulimia - racconta - che ero una ragazzina, in piena adolescenza, avevo iniziato a notare che nei confronti dei ragazzi i miei occhi erano cambiati, ma purtroppo si sa, a quell'età una ragazzina obesa non viene presa in considerazione, è l'amica di tutti ma la fidanzata di nessuno. Mi sono sentita dire tante di quelle volte "hai un viso stupendo, i tuoi occhi parlano, ma..." ma ero grassa».

La sofferenza si è trasformata in bulimia, e l'ago della bilancia è passato in pochi mesi da 110 a meno di 60 kg. I ricordi di quei tempi sono sfocati: «Ho un vuoto totale di quel periodo - dice - ricordo solo quando mi hanno ricoverata nel reparto disturbi alimentari dell'ospedale a Pietra Ligure, sono scoppiata a piangere con mia madre che piangeva con me». Mesi intensi: «Vedevo ragazze con la flebo per stare in piedi, pesavano 30 kg e non volevano mangiare durante i pasti». A dare la forza a Giulia è stato il pensiero della sua famiglia e la consapevolezza che i suoi cari fossero in pena per lei: così, passo dopo passo, è uscita dall'ospedale e dall'incubo.

«Ragazze, piacetevi: siamo tutte belle in maniera diversa»

E ancora oggi Giulia sotto i tatuaggi porta comunque le cicatrici di quel passato, per sua stessa ammissione: debolezza, insicurezza e paura del rifiuto. «Però non permetto a nessuno di influenzare il pensiero che ho di me, mi guardo e vedo anche io di non essere perfetta, le mie smagliature, la mia cellulite, le mie gambe grosse, ma sono io e non mi cambierei con nessuno». La sua storia finisce con un appello alle ragazze: «Non permettete mai a nessuno di potervi entrare in testa e farvi credere di essere ciò che in realtà non siete. Non fatevi mancare di rispetto, rispettatevi prima voi, piacetevi, perché siamo tutte belle in maniera diversa».

E poi l'appello ai ragazzi, perché le parole - anche quelle lanciate forse senza rendersi conto del loro effetto, dietro uno schermo (spesso) o guardandosi negli occhi (un po' meno spesso) - hanno un peso.

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