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Domenica, 28 Aprile 2024
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La storia di Elena, da Genova alla Sardegna per curarsi: "L'odissea di chi ha un disturbo alimentare"

La battaglia di Elena e della sua famiglia alla ricerca di una cura per l'anoressia nervosa parte da Genova: da qui la ragazza, che ha iniziato a soffrire di questo disturbo a 17 anni, durante il primo lockdown, è stata portata in Piemonte e ora in Sardegna, dove si trova in una comunità protetta

Il lockdown per il covid, la depressione, infine i disturbi alimentari e una vera e propria odissea per potersi curare. È la storia della giovane Elena, che da Genova si è dovuta spostare prima in Piemonte e poi in Sardegna, e denuncia insieme alla madre: "Manca una rete per i disturbi alimentari, così vai allo sbaraglio".

La ragazza è giovanissima, ha appena 17 anni quando la famiglia capisce che qualcosa non va: "Erano i giorni del lockdown per il covid - racconta la mamma -. All'inizio erano dei comportamenti come allenamento-dieta molto intensi. Poi ha iniziato a cucinare per sé, a essere più cupa, triste. Piangeva e questo mi ha preoccupato, perché era una ragazza sempre solare, mi sembrava fosse cambiata".

La diagnosi di anoressia nervosa e i chilometri alle spalle per curarsi

La madre della ragazza, su suggerimento di un'amica che lavora in ospedale a Genova, si è rivolta a un centro di eccellenza della città ottenendo una visita un mese e mezzo dopo, nell'autunno 2020. Qui la diagnosi: anoressia nervosa, con la consapevolezza di essere entrata in un tunnel da cui è difficile e faticoso uscire. 

Oggi Elena ha 21 anni e negli ultimi anni ha percorso tanti chilometri in cerca di cure: dalla Liguria al Piemonte e infine in Sardegna, dove si trova oggi in una comunità protetta. 

La sua storia è simile a quella che affrontano tanti ragazzi alle prese con i disturbi del comportamento alimentare. Spesso i chilometri alle spalle sono migliaia, un calvario che non si misura solo in distanze percorse, ma in sofferenza: "Quando è iniziato il percorso di cura di mia figlia - racconta all'Adnkronos Salute mamma Laura - io non conoscevo molto di questa malattia devastante, mi sono affidata in tutto. Lei non voleva saperne, l'ho convinta dicendo che avrebbe trovato nutrizionista e psicologa e all'inizio ha collaborato. Poi pian piano si è lasciata andare di nuovo. Dopo 6 mesi siamo finiti in pronto soccorso qui in città, seguendo le indicazioni che ci avevano dato. E lì è iniziato un calvario. L'hanno ricoverata in psichiatria per un mese e mezzo, il primo di una serie di ricoveri che le hanno lasciato un trauma che oggi sta venendo fuori".

Il trauma dei ricoveri in solitudine

A tutto questo si sono aggiunti i problemi legati alla pandemia: "Era una ragazza giovane e spaventata, sola, e noi non potevamo entrare con il problema del covid. Dopo il primo ricovero è stata trasferita in un centro sempre in Liguria basato sull'alimentazione, quindi il raggiungimento del peso, il nutrirsi. Questa cosa l'ha spaventata. Lei aveva paura del cibo. Lì ha iniziato con l'autolesionismo, è peggiorata. Ho scoperto solo dopo è che anche questo è un sintomo della stessa malattia".

Infine i tre ricoveri in un istituto piemontese: anche grazie alle cure e alla sua forza di volontà, Elena riesce a sostenere la maturità. "Noi all'inizio non potevamo vederla - spiega la madre - andavamo nel weekend e lei usciva in giardino. La salutavamo con il suo labrador, per farle sapere che c'eravamo. Anche se abbiamo capito che non potevamo aiutarla noi. Il nostro ruolo è di genitori. I ricoveri in queste strutture non sono a lungo termine, massimo 6-9 settimane. Per lei erano poche, dopo tutti i traumi, il supporto sul territorio mancava. Noi lo abbiamo trovato poi su Sestri Levante. E al Centro di salute mentale, che dista poco dal Centro disturbi alimentari. Se potessero lavorare insieme le cose funzionerebbero meglio, ma non si parlano. Lì l'hanno comunque seguita bene. Poi ho tenuto la nutrizionista di Piancavallo, di cui Elena si fidava. Andavo ogni 15 giorni a Verbania, 2 ore e mezzo di macchina".

"Importante la presenza di un terapista che segua tutta la famiglia"

Per uscire dall'incubo, anche i genitori di Elena hanno sentito la necessità di chiedere aiuto: "Io e mio marito - racconta ancora Laura - ci siamo fatti seguire privatamente. Abbiamo un'impresa edile di famiglia, io mi sono fermata per seguire mia figlia. Nei momenti più bui, quando Elena stava male, era come se si avvolgesse un velo nero su tutta la famiglia. Ritengo sia importante la presenza di un terapista familiare che ti segue. È come se con questa malattia non ci si capisse più, si parlassero lingue diverse. E invece è importante che la famiglia diventi un supporto nel percorso verso la guarigione".

Adesso il taglio del Fondo per il contrasto ai disturbi alimentari "mi preoccupa. Perché ritengo che di fondi ne andrebbero stanziati molti di più e ci vorrebbe una maggiore apertura dei centri verso più strade. Ogni storia è a sé e anche la cura va adattata. Se poi la malattia peggiora, alla sanità costiamo molto di più".

Oggi Laura aiuta altre famiglie tramite un'associazione: "Dico loro di fidarsi, ma non troppo, aprire gli occhi e fare valutazioni. Con questa malattia i nostri figli non sono lucidi, la malattia decide per loro e rema contro la cura". Il fratello di Elena oggi si è laureato in Medicina, racconta infine la mamma: "Ha scelto Psichiatria come specializzazione". 

La storia della sorella ha segnato anche lui. "È stata una scelta dettata dalla voglia di aiutare gli altri. Sicuramente avrà una marcia in più - conclude Laura - perché sa cosa vuol dire questa malattia tremenda".

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