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Coronavirus

L'appello della giovane dottoressa neoabilitata: «Pronta a fare il mio dovere, ma dopo non buttateci via»

Roberta Rissotto ha 25 anni e da venerdì l'Ordine dei Medici di Genova ha iscritto il suo nome nell'albo: insieme con altri 149 colleghi, può di fatto esercitare. Ma la paura per il futuro è grande, più di quella per il coronavirus

«Sono Roberta, e da oggi sono ufficialmente un medico». Roberta Rissotto ha 25 anni, ed è una dei 150 medici neoabilitati con il decreto del governo dello scorso 17 marzo. L’Ordine dei Medici di Genova ha ufficialmente iscritto il suo nome nell’albo, il che significa che da venerdì Roberta può, di fatto, esercitare.

Con l’abilitazione straordinaria, Roberta e i suoi 149 colleghi possono partecipare ai bandi emergenziali della protezione civile, a quelli delle varie aziende sanitarie che cercano medici a tempo determinato della durata di 6 mesi. Può, insomma, «scendere in trincea, andare a combattere il virus, come in tanti dicono in questo periodo - spiega Roberta - Eppure ho un buco in pancia, dovuto alla paura. E non alla paura del virus o alla paura della morte, alla paura del futuro, mio e dei miei colleghi».

Il pensiero di Roberta, come quella di moltissimi altri giovani (e non solo), va inevitabilmente al periodo successivo all’emergenza, quello in cui si faranno i conti non solo con le conseguenze che il virus ha avuto sull’economia, ma anche su questioni irrisolte che l’epidemia ha soltanto lasciato in sospeso, e che torneranno a farsi vive, con ancor più veemenza, una volta sconfitto: «A emergenza finita sarò di nuovo disoccupata - è lo sfogo di Roberta - E da disoccupata parteciperò a un test, quello di accesso alle scuole di specializzazione, insieme, presumibilmente, ad altri 22.500 colleghi, medici come me, laureati da più o meno tempo, e saremo lì in varie sedi d'Italia a scannarci a colpi di crocette per 8.500 borse di specializzazione».

«Oggi che la carenza di specialisti è sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vorrebbe vederla, 8.500 è un numero che sembra ancora più ridicolo di quanto già non fosse per noi "del settore” - continua la giovane dottoressa - perché anche chi ha delle conoscenze di matematica basilari si rende conto che, con questa cifra, circa 14 mila medici resteranno senza lavoro, e saranno costretti a partecipare a bandi trimestrali di continuità assistenziale, a dedicarsi ad altro o a emigrare in altri Paesi dove i medici sono Eroi ogni giorno, dove lo Stato dice ogni giorno loro grazie per quello che fanno, e non solo quando lavorano 20 ore al giorno in condizioni precarie durante una pandemia da quasi 10mila morti solo in Italia».

A oggi Roberta non ha ancora chiaro che cosa succederà nelle prossime settimane: «Per quanto mi piacerebbe aiutare, non possiedo le competenze per poter operare nei centri Covid in cui è richiesta una formazione specialistica avanzata - spiega - Eventualmente deciderò se applicare per il bando per le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziali. Al momento il mio obiettivo principale è studiare per superare il concorso delle specializzazioni mediche e proseguire con la mia formazione specialistica».

Roberta si dice comunque «pronta ad andare, ad accettare incarichi temporanei adesso che c'è bisogno di me», ma lancia un appello. Affinché lei e tutti gli altri come lei non vengano messi da parte una volta superate l’emergenza: «Vorrei tanto che anche lo Stato fosse pronto a darmi delle garanzie, pronto a dirmi che a fine emergenza non mi butterà via come una mascherina usata ma mi farà restare qui, nel mio paese, a fare il lavoro per il quale ho studiato e per il quale ho passato sei anni della mia vita sui libri, e lo faccia con un provvedimento semplice: aumentando i fondi per la sanità e rendendo il numero di borse della specializzazione proporzionale ai candidati, permettendoci di continuare il nostro percorso di formazione qui.

Noi siamo disposti a spenderci, a spendere energie, risorse: spenda per noi anche lo Stato». 

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